Tra gli indiani della Baja California

A cura di Gianni Albertoli

Come affermava il John P. Schmal, la storia degli indiani della Baja California è molto triste, le devastazioni e le malattie avrebbero accentuato la loro vita ai margini di qualsiasi contatto con le altre popolazioni del Messico e della California americana. Questi indiani, in particolare quelli del sud della penisola, sarebbero scomparsi velocemente dalla scena storica senza lasciare alcuna traccia. Nel 1532 il conquistatore Hernán Cortés inviava una spedizione nel territorio, era comandata dal cugino Diego Hurtado de Mendoza, il suo compito era quello di esplorare la penisola e le terre lungo le coste del Pacifico. Una seconda spedizione si ebbe il 29 ottobre 1533, questa avrebbe raggiunto le zone di Santiago e di Colima, ma risultò essere un disastroso fallimento che portò ad un ammutinamento e alla scoperta delle zone di La Paz. Nell’aprile 1535 fu lo stesso Cortés a guidare una terza spedizione, composta da tre navi che sbarcarono, il 3 maggio, sulle coste di La Paz; gli spagnoli avrebbero fondato una piccola colonia che trovò ben presto la forte ostilità dei nativi.
Nel novembre dello stesso anno, più di 70 uomini del Cortés erano periti di fame e per vari scontri con gli indiani; nei primi mesi dell’anno successivo il Cortés ritornava nel Messico, ma 30 spagnoli che restavano nel territorio. Una quarta spedizione fu guidata da Francisco de Ulloa (giugno 1539), gli spagnoli raggiunsero La Paz e dovettero rilevare che la piccola colonia del Cortés era stata distrutta.


Una mappa della Baja California, risalente al 1746

Altre spedizioni si susseguirono, ma tutte avrebbero avuto contatti bellicosi con i nativi; anche per questo motivo la colonizzazione della parte meridionale della penisola avrebbe avuto un andamento piuttosto lento e complicato per l’ostilità dei nativi, inoltre, non bisogna dimenticare la grande distanza dalle fonti di approvvigionamento e dalle condizioni meteo inospitali. Hernando de Alarcón (1540) avrebbe risalito il corso del fiume Colorado, ma fu il Juan Rodriguez Cabrillo che, due anni dopo, riuscì a completare l’esplorazione della costa occidentale della penisola. La colonizzazione della Baja sarebbe iniziata qualche tempo dopo, quando, nel 1596, il re Filippo II ordinava l’occupazione della penisola. Sei anni dopo, Sebastian Vizcaino raggiungeva la Baja ed esplorava l’attuale sito di Cabo San Lucas e la costa occidentale, dove si trovò di fronte una forza di circa 800 guerrieri. Il Vizcaíno riuscì a costruire una fortificazione a La Paz, ma dopo una scaramuccia con gli indigeni, preferì abbandonare il territorio. Dopo la sua avventura, le esplorazioni della penisola si sarebbero interrotte bruscamente. Nel 1683, l’ammiraglio Isidro Atondo y Antillón guidava un’altra spedizione stabilendo un insediamento nelle zone di La Paz. Tuttavia, secondo il Laylander, l’insediamento venne abbandonato dopo pochi mesi a causa di crescenti conflitti con gli indiani. Un’altro insediamento venne stabilito a San Bruno, a nord di Loreto, ma anch’esso venne evacuato nel 1685, “a causa delle scarse risorse locali e per le grandi difficoltà nel rifornire l’avamposto”. L’Isidro de Atondo y Antillón è conosciuto soprattutto per il suo ruolo avuto in vari infruttuosi tentativi di stabilire colonie nella Baja California (1683-1865). Nel 1678, venne incaricato di colonizzare la Baja, accompagnato dai missionari gesuiti – Eusebio Francesco Kino e Matías Goñi -, l’Atondo navigò fino a La Paz (aprile 1683), ma i suoi sforzi per stabilire una duratura pace tra i Pericu e i Guaycura si sarebbero conclusi in continue ostilità con gli indigeni. La Paz venne poi abbandonata, e gli spagnoli preferirono spostarsi più a nord, nelle terre dei Cochimí (dicembre 1683). Il suo secondo tentativo fu più duraturo e fecondo, ma comunque non portò a grandi risultati e l’insediamento, incapace di sostentarsi autonomamente, venne abbandonato nel maggio 1685.
Nativi della Baja California
Nell’ottobre 1697, i gesuiti iniziarono ad arrivare nella parte meridionale della penisola e, il 19 ottobre, padre Juan María de Salvatierra stabiliva la prima missione permanente dandole il nome di “Nuestra Señora di Loreto de Concho”, nei pressi dell’odierna Loreto. Tra il 1720 e il 1737 i missionari stabilirono sei missioni fra gli indiani della Baja California meridionale ma, alla fine del periodo gesuita (1768), soltanto un migliaio di nativi erano segnalati al loro interno. Tra il 1697 e il 1767 gli spagnoli stabilirono altre 16 missioni, queste avrebbero giocato un ruolo fondamentale nella cristianizzazione dei nativi. Tuttavia, per raggiungere i loro obiettivi, i missionari riunivano i nativi convertiti nelle “rancherías” che si trovavano nelle vicinanze delle missioni; anche se questa pratica fu efficace nel far rispettare l’istruzione religiosa, il pagamento dei tributi e l’organizzazione della forza lavoro, la concentrazione degli indigeni ebbe un effetto devastante sui gruppi aborigeni, sottoposti agli attacchi del vaiolo, del tifo, del morbillo e di altre malattie infettive. L’epidemia più grave fu quella di tifo del 1742-44, che probabilmente portò alla morte di circa 8 mila indiani. Durante i decenni successivi, intere tribù sarebbero scomparse, mentre piccole bande di indiani Pericu, Guaycura, e Cochimí avrebbero lottato duramente per la loro sopravvivenza. La ribellione più grave ebbe luogo negli anni 1734-37. Questa rivolta, dei Pericu e Guaycuras, interessò diverse missioni poste nella parte meridionale della penisola, la maggior parte delle quali furono costrette ad essere abbandonate. Nel gennaio 1735, le forze indigene tesero un’imboscata ad un galeone proveniente da Manila, che si era fermato a San José del Cabo per rifornirsi d’acqua potabile. “La rivolta e la sua conseguente soppressione”, secondo il Laylander, “…affrettò la disorganizzazione e il declino dei gruppi aborigeni del sud. Per sopprimere la rivolta, i gesuiti furono costretti a chiamare forze militare provenienti dal Messico”. Nel 1742, Filippo V autorizzava l’utilizzo dei fondi reali per reprimere la rivolta dei Pericu. L’arrivo delle truppe dal Sinaloa avrebbe contribuito a ristabilire l’ordine e il controllo delle terre indigene. L’ultima resistenza indiana si sarebbe conclusa nel 1744. Negli anni 1751-53, il gesuita croato Ferdinand Konš?ak raggiunse la Baja California e via terra esplorò il territorio verso nord; ma solo successivamente i gesuiti avrebbero stabilito missioni nel territorio dei Cochimi.
Il conquistatore Hernán Cortés
Dopo l’espulsione dei gesuiti (giugno 1767) – avvenuta per volere di Carlo III di Spagna -, ci fu una breve amministrazione francescana (1768-73) che avrebbe portato alla creazione della missione di “San Fernando Velicatá”. Di grande importanza fu comunque l’anno 1769 nell’alta California, il Gaspar de Portolà e il Junipero Serra esplorarono, via terra, la porzione nord-occidentale della Baja California. Furono allora i domenicani a proseguire l’opera dei predecessori, particolarmente nelle terre dei Cochimí, Kiliwa, Paipai e Kumeyaay, quindi nella parte centro-settentrionale della penisola. Notoriamente, questi indiani furono i primi gruppi umani a stabilirsi nella Baja California, vi sarebbero giunti almeno 11 mila anni fa. In quel tempo, due principali gruppi indigeni erano presenti nella penisola, nel centro-sud vi erano i Cochimi e, più a nord, diverse bande appartenenti al ceppo linguistico Yuman, tra cui i Kiliwa, i Paipai, i Kumeyaay, i Cocopah e i Quechan. Queste genti ebbero adattamenti culturali diversi nella regione. I Cochimi erano notoriamente dei cacciatori-raccoglitori dei deserti centrali ma, stanziati anche sulla Cedros Island, al largo della costa occidentale, si dedicavano e avevano sviluppato una economia tipicamente marittima. Anche i Kiliwa, i Paipai e i Kumeyaay, stanziati più a nord e, soprattutto, in terre ben più irrigate da fiumi e torrenti, erano cacciatori-raccoglitori con modalità di stanziamento ben più sedentarie. I Cocopah e i Quechan erano invece dediti ad un tipo di agricoltura che si sviluppava nelle pianure alluvionali del Colorado River. I linguaggi nativi della penisola si possono comunque dividere in almeno tre famiglie: la “Yumans”, posta a nord; la “Guaycuras”, da Loreto all’area di La Paz, e la “Pericu” nella regione più meridionale e su alcune isole del Golfo della California. Purtroppo non esistono grandi prove linguistiche in grado di chiarificare meglio il problema; se i primi missionari notavano grandi differenze dialettali tra i nativi, il W. Massey li divideva in due grandi famiglie: la “Yumans” e la “Guaycuran”. Le testimonianze di padre Sigismundo Táraval restano di primaria importanza, il gesuita divideva praticamente la famiglia “Guaicurian” in tre sottogruppi: il “Guaicura” vero e proprio comprendente i Guaycuras e i Callejues; lo “Huchiti” (o “Uchitì”) comprendente gli Huchities, i Cora, gli Aripe e i Periúe; e il “Pericues” comprendente i Pericu veri e propri e gli “Isleño”. Possiamo allora notare che gli indiani Periúe non sono da confondere con i Pericu veri e propri, mentre gli Isleño erano probabilmente i gruppi Pericu delle isole. Il Táraval diceva che nelle missioni di La Paz vi erano circa 800 indiani, i quali facevano riferimento a sette disperse “rancherias” appartenenti ai tre principali gruppi.
Relazioni complicate con gli indiani
Uno di questi gruppi, facente riferimento alla missione “Dolores”, era quello dei Callejues, un altro era quello degli Huichities e l’altro era rappresentato da una “piccola rancheria” posta su una isola vicina e appartenente ai Pericu. Il missionario ricordava che gli Huichities parlavano un dialetto ben distinto da quello dei Guaycuras. Il gruppo includeva quattro “rancherias” degli Huichities: “Aripes, Coras, Periúes o Vinees, e gli indiani Huichities”, questi erano gli indiani che “iniziarono la rivolta”. Il Laylander, dopo aver approfondito gli elementi in suo possesso, contava soprattutto sul diario di padre Ignacio de Napoli, il quale ricordava gli indiani Cora, affermando che erano indiani simili ai Pericu, ma ben distinti dai Guaycuras. Questi ultimi servivano nelle missioni di “Los Dolores” e “San Luis Gonzaga”, parlavano dialetti Guaycuran ed erano affini ai Callejues del sud. Resta comunque il fatto che, all’interno della famiglia linguistica Guaycuran, vi erano anche notevoli diversità dialettali fra i vari gruppi. Gli indiani Monquis, stanziati a nord di Liguí e Loreto, sembrano essere linguisticamente affini ai Guaycuran ma, comunque, il loro dialetto era distinto da quello dei gruppi Guaycuran del sud. Possiamo inoltre ricordare che, nell’anno 1719, la spedizione del Guillén ebbe modo di avere guide e interpreti di etnia Guaycuran, ebbene si rese conto della grande diversità dei vari dialetti parlati dagli indiani Guaycuras, e specialmente metteva il risalto le grandi differenze dialettali esistenti tra i Guaycuras e i Monquis. A sud di questi indiani vivevano i gruppi Pericues, Aripes e Uchities, i quali, in teoria, parlavano anche essi dialetti Guaycuran; quindi esistevano grandi differenze tanto che, il Miguel Venegas dichiarava apertamente che, “… la gente si capisce l’un l’altro soltanto in poche parole che hanno lo stesso significato nelle tre lingue di Loreto, Guaycura e Uchití… ma quelle parole sono molto poche”. Queste diversità linguistiche potrebbero suggerire che, nella Baja California centro-meridionale, l’originaria lingua Guaycuran fu parlata nel territorio per diverso tempo, ma anche che i diversi gruppi siano immigrati nella penisola in epoche diverse. Ritornando alla trattazione. Quattro anni dopo, nel 1773, i domenicani avrebbero assunto la piena gestione delle missioni della Baja; stabilirono nuovi insediamenti nelle terre dei Cochimi delle coste, per poi inoltrarsi nell’interno fino ad estendersi ad El Rosario (1774) e Descanso (1817), a sud di Tijuana.
Nel Museo Regionale di La Paz e nel Museo Nazionale di Antropologia e Storia di Città del Messico vi sono una dozzina di teschi conservati e appartenenti alla tribù Pericu. Questi indiani, stando agli studiosi moderni, sembrano essere una popolazione piuttosto enigmatica, infatti alcuni studiosi ritengono che non avessero alcuna correlazione con le genti Amerinde del continente americano. I loro più stretti parenti sembrano essere i Fuegians, alcuni gruppi dell’Australia e i Papua Newguineans, senza dimenticare caratteristiche simili ai Negritos delle Andamane. Fu Hernán Cortéz ad incontrare i Pericu nelle zone di La Paz, eventuali precedenti incontri furono possibili, ma non vennero riportati in alcuna fonte a noi nota. Entro la fine del XVIII secolo i Pericu sarebbero scomparsi dalla scena storica.


Una tipica abitazione Tepehuanes

Gli indiani Pericu sono ritenuti dallo Swanton connessi ai gruppi Guaycuran, lo studioso li localizzava intorno a Cape San Lucas, ma si estendevano a nord lungo la costa occidentale; lo Swanton non menziona alcuna divisione della tribù, anche se ricorda che i Cora erano strettamente connessi con loro. Stando alle stime, il gruppo Pericu-Guaycura-Monqui era composto da circa 4 mila anime nell’anno 1734, nel 1772 la loro popolazione si era ridotta a circa 400 unità, il che significava che le malattie e le guerre li avevano ridotti del 10% della loro popolazione in meno di 40 anni. Anche le prove linguistiche sono piuttosto difficoltose in quanto sono a noi rimaste soltanto una manciata di parole e circa una dozzina di nomi di luoghi. I missionari facevano notare che la lingua dei Pericu era ben diversa da quella dei Guaycura, purtroppo non sappiamo quanto siano state distinte le due lingue. Le varie comunità della tribù erano indipendenti l’una dall’altra e non vi era assolutamente alcuna autorità superiore, anche se le posizioni di leadership sembra fossero ereditarie ed essa andavano quasi sempre agli uomini, anche se sono stati accertati casi in cui donne erano alla guida della comunità. Un dato importante è rappresentato dal fatto che potevano esserci conflitti fra le varie comunità della stessa nazione, le cause principali di questi conflitti erano dovuti ai diritti di cacciare e raccogliere radici selvatiche in determinati territori. I conflitti e gli scontri nelle terre di confine tra i Pericu e i Guaycura erano considerati cronici. La religione dei Pericu era tipicamente sciamanica, lo sciamano, o Uomo di Medicina, poteva invocare le forze soprannaturali (Spiriti) per curare gli ammalati; comunque, poco sappiamo sulle loro pratiche, ma sembra che in caso di lutto, questi indiani avessero riti piuttosto elaborati.


Fortificazione spagnola del XVII-XVIII secolo

Il cosiddetto “Las Palmas Complex” è sicuramente il principale modello archeologico delle loro pratiche funerarie; questo “Las Palmas Complex” era concentrato soprattutto nella regione più meridionale della Baja California, ma potrebbe essere ricondotto fino a 10 mila anni fa, quindi molto antico. Il complesso venne scoperto nel tardo XIX secolo ed è caratterizzato da sepolture di ossa disarticolate e dipinte di ocra rossa e, in genere, sepolte in grotte o ripari vari. I crani scoperti nelle sepolture tendono ad essere molto allungati, quindi “dolicocefalo”, il che porterebbe a conclusioni riconducibili agli stessi Pericu. Il clima della parte meridionale della Baja California avrebbe comunque portato gli indigeni ad usare soltanto un minimo vestiario. Le donne indossavano gonne di fibra vegetale o pelli di animali, mentre gli uomini andavano normalmente completamente nudi. Entrambi i sessi si dipingevano il corpo con disegni aventi significati religiosi andati perduti. I Pericu erano soprattutto orientati verso il mare, il quale per loro rappresentava la principale fonte di sostentamento; erano dediti alla pesca, alla raccolta dei crostacei e alla caccia dei mammiferi marini. Le loro risorse terrestri includevano le agavi, i frutti dei cactus e la piccola selvaggina, ma molto praticata era la caccia ai cervi; nessuna traccia di pratiche agricole è stata trovata fra loro. In genere la pesca avveniva su delle zattere di legno, con pagaie a doppia lama, per cacciare i mammiferi. E’ molto probabile che i gruppi nativi della Baja siano stati spinti a sud dalla pressione operata dalle popolazioni stanziate più a nord, sia dai gruppi della California che da quelli della Sonora occidentale. Nel 1883-84 Lyman Belding portò alla luce uno scheletro Pericu “avvolto in un tessuto a base di corteccia di palma e intrecciato con fibre materiali dell’agave”. Il dottor W.H. Dall avrebbe osservato che le mummie delle Aleutian Island dell’Alaska erano anche esse intrecciate allo stesso modo. Le ossa dello scheletro erano numerose, mancavano soltanto alcune piccole ossa e un femore, quasi tutte erano state dipinte con ocra rossa. Nella Espiritu Santo Island, proprio nel territorio conteso dai Pericu e dai Guaycura, nelle vicinanze di La Paz, vennero trovati altri scheletri umani con le ossa dipinte di ocra rossa; altri scheletri furono trovati nella Encenada e nelle Los Martires. Tuttavia, uno scheletro trovato nelle Los Martires, apparteneva indiscutibilmente ad una persona paralizzata e le sue ossa non erano state dipinte. Sembra che i giovani maschi (e le femmine?) e i portatori di handicap non avrebbero avuto lo stesso trattamento prima della sepoltura, quindi le loro ossa non sarebbero state dipinte.


Sulla strada che da Durango portava ad El Parral

Altri scheletri sarebbero stati trovati in una grotta posta nelle vicinanze di Candelario e nelle zone di San Pedro, erano tutti dipinti di ocra rossa. Tutti i crani erano dolicocefali. Ben pochi ornamenti sono stati trovati con gli scheletri, ma alcuni gusci di ostriche di perla vennero trovati presso lo scheletro di una giovane ragazza; i gusci erano stati lucidati sul lato convesso, i bordi finemente seghettati e poi bucati al vertice, probabilmente per essere appesi intorno al collo. Questi indiani – noti anche come “Cora, Edues, Pericues o Pericuantes”, anche se molti ritengono i primi due come distinti gruppi della stessa nazione – erano gli aborigeni della parte meridionale della penisola, infatti, anche gli Edues vivevano nell’estremo sud della penisola. Linguisticamente e culturalmente si sarebbero estinti nel tardo XVIII secolo. Le zone meridionali della penisola, da Cabo San Lucas a Cabo Pulmo, insieme alle grandi isole del Golfo della California (Cerralvo, Espíritu Santo, Santa Catalina, La Partida e San José), erano ritenute terre di questi indiani. Il William C. Massey (1949) pensava che la parte orientale della regione del Cabo – tra cui Bahía de las Palmas e Bahía Ventana – era invece occupata da un gruppo di etnia Guaycuras noto come “Cora”. Un attento riesame delle prove avrebbe invece dimostrato che il termine “Cora” era un sinonimo di “Pericu”. Il Massey assegnava a due gruppi Guaycuras – i Cora e gli Aripe – queste terre; mentre il Michael W. Mathes (1975), sosteneva che appartenevano ai Pericu nei secoli XVI e XVII, per poi essere occupate da gruppi Guaycuras tra il 1668 e il 1720. I primi contatti dei Pericu con i bianchi si ebbero nell’anno 1530, quando Fortún Ximénez, a capo di alcuni ammutinati che avevano abbandonato una spedizione, raggiunsero La Paz. Altri sporadici incontri, dei quali alcuni anche poco amichevoli, si ebbero negli anni successivi, quando apparvero esploratori europei, corsari, missionari, cercatori di perle e galeoni provenienti dalle Filippine.

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