La battaglia di Wolf Mountain

A cura di Cesare Bracchi

L’immediata reazione dei vertici dell’esercito degli Stati Uniti, alla inaspettata quanto scioccante notizia della disfatta del 7° cavalleria a Little Bighorn, fu quella di ordinare l’invio di parecchi reggimenti nel Montana sud-occidentale allo scopo di liquidare il più in fretta possibile la “pratica” degli indiani ostili.
E’ in questo ambito che va collocato il trasferimento di 6 compagnie del 5° Fanteria, al comando del colonnello Nelson A. Miles, dalla loro base di Fort Leavenworth nel Kansas al Territorio del Montana, nella zona del fiume Tongue.
Ingaggiare battaglia con gli indiani era difficile, soprattutto perché la grande coalizione di Sioux e Cheyenne si era già divisa in numerose bande.
Il 25 agosto 1876 il comando centrale ordinò la chiusura della campagna e il conseguente scioglimento della Colonna Dakota, alla quale il reggimento di Miles era stato assegnato.
Tuttavia, proprio a Miles fu assegnato l’incarico di costruire una postazione militare provvisoria alla confluenza del Tongue con lo Yellowstone.


Il Generale Nelson A. Miles

Il Tongue River Cantonment, come venne chiamato inizialmente per poi diventare Fort Keogh, voleva rappresentare la presenza dell’autorità di Washington in un’area che il governo degli Stati Uniti era intenzionato a liberare dalla presenza degli indiani che si rifiutavano di (ri)entrare nelle riserve.
Miles fu ben contento di rimanere in zona e avere così l’opportunità di vendicare il suo amico Custer. Disattendendo i consigli dei suoi superiori, Miles iniziò quindi una personale ed autonoma campagna d’inverno contro le bande di Toro Seduto e Cavallo Pazzo che si trovavano in quell’area.
Del resto anche Miles, come il gen. Sheridan, sosteneva che la tattica migliore per sconfiggere una popolazione nomade fosse quella di dar loro la caccia anche durante la rigidissima stagione invernale, quando gli indiani stabilivano i loro campi semi-permanenti e le risorse alimentari per uomini e animali erano scarse.
A differenza degli anni precedenti, la maggior parte dei gruppi famigliari Lakota e Cheyenne, quell’autunno del 1876, non rientrò nelle varie riserve per ricevere le razioni alimentari annuali. Rimase invece tra i propri parenti con i quali si erano ricongiunti in primavera per il tradizionale periodo di caccia.
A trattenerli lontano dalla riserva, nonostante la selvaggina cominciasse già a scarseggiare e i primi segnali dell’imminente arrivo dell’inverno fossero ormai evidenti, furono sicuramente le mutate condizioni sociali e militari all’interno delle riserve stesse, di cui gli indiani erano venuti a conoscenza.


Il Generale Philip Sheridan

La minaccia del Congresso di sospendere la distribuzione delle razioni alimentari come ritorsione alla mancata concessione delle Black Hills da parte degli indiani, unita alla decisione di affidare il controllo delle agenzie ai militari, furono motivi sufficienti a tenere lontani dalle riserve molti gruppi di Lakota e Cheyenne Settentrionali. Se a questo aggiungiamo la ventilata minaccia di confisca di armi e cavalli agli indiani delle riserve, viene facile comprendere lo stato d’animo e l’irritazione degli stessi e la loro decisione di affrontare il terribile inverno piuttosto che rientrare in “cattività”.
I primi a enrare nel mirino del Col. Miles furono Toro Seduto e la sua gente che, durante i mesi di ottobre e novembre, furono sistematicamente inseguiti dalle truppe che non diedero loro la possibilità di procurarsi le scorte di carne per l’inverno.
Ci furono anche due scontri a Cedar Creek e Ash Creek che costarono cari agli Hunkpapa soprattutto per la perdita di cibo e suppellettili.
L’impossibilità di stabilire i consueti campi invernali, i continui scontri con i soldati e la fame che ormai attanagliava donne, vecchi e bambini portarono la depressione più nera anche tra i capi più favorevoli alla guerra. Lo stesso Toro Seduto perse in credibilità presso la sua gente che, divisa in diverse fazion, prese la decisione di rifugiarsi a nord oltre il confine canadese, seguiti di lì a poco dallo stesso capo Hunkpapa.


Una rara immagine di Toro Seduto

La situazione non era molto diversa per quanto riguardava l’altro grande gruppo di indiani che si rifiutava di arrendersi: gli Oglala, i Minneconjou e i Sans Arc riuniti intorno alla figura carismatica di Cavallo Pazzo.


L’unica fotografia di Cavallo Pazzo

A questi si erano aggiunti i Cheyenne Settentrionali di Coltello Spuntato, arrivati i primi di dicembre in condizioni disperate dopo un viaggio terrificante a seguito dell’attacco del loro villaggio sul Powder River il 25 novembre 1876 ad opera delle truppe del colonnello MacKenzie.
Prima dell’arrivo dei Cheyenne, il gruppo di Cavallo Pazzo era diviso in fazioni tra coloro che erano favorevoli alla pace e coloro che invece volevano continuare a combattere per la libertà.


Coltello Spuntato (Dull Knife)

Il capo Oglala era il più convinto a continuare la lotta al punto che aveva dato ordine alla “akicita”, la società di guerrieri con funzioni di polizia all’interno del campo, di stroncare sul nascere ogni tentativo di resa, fino al punto di privare dei cavalli e degli oggetti personali tutti coloro che venivano sorpresi nel tentativo di lasciare il villaggio per rientrare nelle riserve. Questo fatto va sottolineato in quanto esemplificativo del momento particolarmente delicato per la tribù, delle sofferenze e delle lotte intestine tra le varie fazioni. Era infatti estremamente inusuale che si verificasse un intervento centralizzato e repressivo della libertà individuale in un modello di società come quello Lakota che, come è risaputo, si basa invece su un alto livello di autonomia e indipendenza del singolo individuo e del nucleo famigliare.
Le condizioni disperate, in cui si trovavano i Cheyenne al loro arrivo al campo degli Oglala sul Tongue River, colpirono profondamente Cavallo Pazzo che si convinse ancor più della necessità di continuare la guerra. Il suo disegno prevedeva la riunione delle forze con gli Hunkpapa, come a Little Bighorn. Perciò aveva inviato alcuni messaggeri a Toro Seduto, per organizzare in incontro con lo stesso. Questi in effetti si stava dirigendo verso sud, e quindi verso Cavallo Pazzo, con quello che rimaneva del suo gruppo, circa la metà delle oltre 200 tende originali, dopo che una parte consistente aveva già preso la strada per la “Terra della Grande Nonna”, cioè il Canada. Il 18 dicembre il campo di Toro Seduto sul Red Water Creek fu sorpreso dall’attacco delle truppe del Ten. Baldwin che costrinse gli Hunkpapa a disperdersi nelle pianure gelate trai fiumi Missouri e Yellowstone. Questo episodio impedì l’incontro tra i capi e la riunificazione delle tribù, confermando la bontà della tattica dell’esercito di frapporsi tra i due gruppi più importanti di indiani “ostili”.
Alla fine di quel dicembre 1876 nel campo di Cavallo Pazzo, che contava ormai circa 800 tende, la fazione favorevole alla resa si era rafforzata sempre di più. Anche lo stesso capo, benché riluttante, non si oppose alla proposta di invio di una delegazione di capi per parlamentare con i soldati e negoziare una resa onorevole, che soprattutto ponesse fine alle sofferenze di coloro che erano più esposti ai disagi del freddo e della fame: vale a dire le donne, gli anziani e i bambini.


Prigionieri Cheyenne della banda di Coltello Spuntato (Dull Knife)

Fu così che una delegazione di 5 capi, guidata dal capo Oglala Toro Seduto (da non confondersi, ovviamente, con il ben più noto omonimo capo Hunkpapa), scortati da alcuni guerrieri, raggiunse le vicinanze della postazione di Miles il 16 dicembre.
Il gruppo non fece neanche in tempo a raggiungere il Tongue River Cantonment perché incappò nel villaggio dei Corvi ingaggiati da Miles come scout. I Corvi balzarono a cavallo e corsero incontro ai Sioux e Cheyenne e, ignorando i loro gesti di pace, li attaccarono in nome dell’odio atavico che divideva le due tribù. Il bilancio fu di 6 capi Sioux uccisi a tradimento, incluso Toro Seduto.


Un guerriero della tribù dei Crow

I soldati della guarnigione, uditi gli spari provenire dal villaggio degli scout, si precipitarono sul luogo dello scontro, ma non poterono far altro che verificarne l’esito e disarmare i Corvi, come da ordine di Miles. Questi, il giorno seguente, inviò due scout Sioux recanti doni di pace, alla ricerca del campo di Cavallo Pazzo nel tentativo di rimediare a quanto successo. I due, tuttavia rientrarono alla base il 21 dicembre senza essere riusciti a localizzare il villaggio.
Non appena il destino subìto dalla delegazione di pace fu noto nei campi Sioux e Cheyenne, ogni pensiero di resa pacifica fu immediatamente abbandonato. Cavallo Pazzo non tardò a parlare apertamente di vendetta. Secondo alcuni storici, egli stesso guidò una spedizione contro i Corvi responsabili della strage ma scoprì che Miles li aveva già licenziati e cacciati.
Ripresero le scorrerie contro i soldati in tutta la zona ed entrambe le fazioni si prepararono ad una vera e propria guerra.
Il piano, ideato e concordato dagli indiani, ricalcava quello utilizzato con successo esattamente 10 anni prima contro le truppe del Ten. Fetterman, in quello che fu chiamato “Fetterman Massacre” o, nella versione indiana, “Battaglia dei 100 Uccisi”. Esso consisteva nell’utilizzare un gruppo di guerrieri come esca per attirare i soldati in un luogo adatto ad un’imboscata.
Il 18 dicembre un gruppo di guerrieri assalì la postazione governativa che gestiva il servizio postale per il forte, situata a poche miglia dallo stesso.
Il 26 dicembre il gruppo di guerrieri “esca” giunse a meno di 1 miglio dalla base di Miles e razziò una mandria di 150-200 capi di bestiame che fu guidata verso l’interno della valle del fiume Tongue. Immediatamente Miles inviò all’inseguimento 3 compagnie agli ordini del Cap. Dickey allo scopo di individuare le tracce degli indiani. Il comandante, nel frattempo, accelerò i preparativi per la spedizione in forze.


Un gruppo di scout Sioux

Il 29 dicembre partiva dal Tongue River Cantonment il resto del 5° Fanteria, alcuni scout bianchi e indiani, 2 cannoni Napoleon da 12 libbre e una mitragliatrice Rodman. Il Col. Miles dava così ufficialmente inizio alla sua campagna d’inverno del 1876/1877 contro le tribù Lakota e Cheyenne Settentrionali, risalendo il fiume Tongue con 436 uomini.


Soldati al Tongue Cantonment

Nonostante il precipitare degli eventi e il poco tempo per preparare la campagna, Miles riuscì ad equipaggiare i propri soldati con pesanti cappotti fatti con pelli di bisonte che permettevano di far fronte al freddo pungente e alle copiose nevicate. Tuttavia fu osservato che soldati così agghindati assomigliavano più ad esploratori artici che a truppe dell’esercito impegnate in un difficile inseguimento su terreni impervi e ghiacciati.
La colonna prese a risalire la valle verso sud-ovest, lungo la pista indiana, lottando quotidianamente con venti gelidi, temperature polari, forti nevicate e frequenti guadi di corsi d’acqua dove i carri spesso si rovesciavano nell’acqua gelida.
Non che la situazione per i Lakota e Cheyenne fosse migliore, anzi. Il campo fu spostato più a monte ed è facile immaginare come le operazioni di smantellamento, trasferimento e riposizionamento, che coinvolgevano tutta la tribù, furono rese terribilmente difficili dalle avverse condizioni climatiche e ambientali.


Un cannone Napoleon da 12 libbre

L’1 e il 3 gennaio 1877 ci furono due scontri a fuoco di limitata entità tra la retroguardia di Miles e un gruppo di guerrieri. Durante uno di questi un soldato rimase ucciso.
Anche queste schermaglie facevano parte del piano studiato dagli indiani che intendevano provocare Miles il più possibile allo scopo di farsi inseguire fino al luogo individuato per l’imboscata.
Miles impose tappe forzate ai suoi che raggiunsero, il 6 gennaio, l’Hanging Woman Creek dove vennero trovate chiare tracce del grande campo da poco abbandonato.
Nel pomeriggio del giorno seguente, il 7, il Col. Miles inviò in esplorazione i suoi scout Corvi che rientrarono alcune ore più tardi con alcuni prigionieri. Era successo che gli esploratori, a poche miglia di distanza, avevano incontrato e immediatamente catturato un piccolo gruppo di donne e bambini Cheyenne in marcia per unirsi alla propria gente che si trovava con Cavallo Pazzo.
La cattura di questi prigionieri influì nella sostanza sugli avvenimenti che seguirono, determinando con buona probabilità l’esito della battaglia.
Questo evento, oltre a renderlo consapevole dell’estrema vicinanza del nemico, portò Miles ad un’ancora più convinta determinazione all’inseguimento di Cavallo Pazzo e dei suoi guerrieri per ingaggiare battaglia al più presto e sconfiggerli definitivamente.
Sull’altro versante, la cattura delle donne e dei bambini Cheyenne determinò, com’è ovvio, una grande agitazione e rabbia nei confronti dei soldati. Queste le parole del guerriero Cheyenne Gambe di Legno al riguardo: ”…qualcuno mi disse: – hanno fatto prigioniere delle donne, fra cui tua sorella -. Fu un colpo al cuore per me. Frustai il cavallo e volai dove mi avevano detto che erano state catturate. Là vidi tracce di cavalli dei soldati. La pista portava al fiume ghiacciato. I soldati erano sulla sponda opposta del fiume, quella occidentale. Cominciarono a sparare contro di me e dovetti fuggire. Non vidi nessuna donna e credetti che le avessero uccise. Allora mi si riempì il cuore d’odio per quei bianchi…”
Prima dell’arrivo della notizia di questa cattura, il grande campo indiano aveva deciso di dividersi in due gruppi: i Cheyenne di Cavallo Pazzo e i suoi fedelissimi avrebbero risalito il fiume Tongue, mentre il resto dei Sioux sarebbe andato a est lungo l’Hanging Woman Creek. Alla base della decisione di dividersi è probabile che ci fossero divergenze sulle strategie di guerra da adottare, se non addirittura il riformarsi di due fazioni: una favorevole alla guerra e l’altra incline alla resa.


Il guerriero Cheyenne Two Moon

In ogni caso la notizia dei prigionieri Cheyenne ebbe l’effetto di riunire immediatamente le tribù coalizzate nuovamente contro i soldati. Il campo fu percorso dalla frenesia e dall’agitazione che in questi casi prendeva tutti i suoi componenti: i guerrieri si prepararono alla battaglia armandosi al meglio e dipingendo se stessi e le proprie cavalcature con i colori di guerra. Viceversa i vecchi, le donne e i bambini si organizzarono per ritirarsi in posizioni sicure ed eventualmente smontare di nuovo il campo.
Quello che Cavallo Pazzo e i suoi non sapevano, mentre preparavano il piano per la battaglia, era che nei pressi del campo dei soldati gli eventi avevano preso una piega che avrebbe fatto svanire la possibilità di poterli cogliere impreparati.
Hanging Woman Creek
Era successo, infatti, che il gruppo di guerrieri “esca”, trovandosi verso sera non lontano dal campo delle truppe, aveva trovato nella neve le impronte e i segni inequivocabili della cattura del gruppo di Cheyenne. I guerrieri attirarono quindi un gruppo di scout fuori dal campo per poi attaccarli in forze. Gli scout cercarono rifugio nel bosco e buon per loro che Miles inviò immediatamente la compagnia A del 5° Fanteria in loro soccorso. Lo scontro durò circa un ora, poi, grazie anche all’utilizzo di un pezzo di artiglieria, gli indiani si ritirarono consentendo ai soldati il rientro nelle loro linee.
Temendo un attacco notturno, Miles dispose opportunamente le sue compagnie e i suoi cannoni occupando, tra le altre, un’altura posta strategicamente rispetto all’area circostante che l’indomani sarebbe diventato il campo di battaglia. Questa altura prese poi il nome di Battle Butte.
La notte trascorse tra gli spari che di tanto in tanto provenivano dalle alture dove si erano piazzati i guerrieri del gruppo “esca”. Quella notte nevicò abbondantemente, ma questo non impedì certo alle centinaia di guerrieri Lakota e Cheyenne, guidati da Cavallo Pazzo, Due Lune, Grande Corvo, Orso di Medicina e altri, di coprire la distanza che li separava dai soldati, anche perché erano ancora convinti di poterli cogliere di sorpresa.
Cosa che non avvenne perché l’alba del 8 gennaio 1877 vide i soldati già piazzati, pronti alle 4 del mattino per fare una frugale colazione a base di carne salata ghiacciata e gallette altrettanto ghiacciate. Dalle alture circostanti giungevano le terribili urla di guerra dei guerrieri che si preparavano ad attaccare. Si dice che gridassero anche: “ …mangiate pure perché sarà il vostro ultimo pasto….”.


Una foto della zona della Wolf Mountain

Le forze indiane si divisero in due tronconi prendendo posizione su entrambe le sponde del Tongue. Insolitamente quel giorno gli indiani lasciarono i loro cavalli al riparo e combatterono a piedi. Questo fatto, assolutamente inusuale per gli indiani delle pianure, può trovare giustificazione nel fatto che quel giorno tutta la zona era coperta da una spessa coltre di neve fresca che avrebbe senz’altro limitato pesantemente la mobilità delle cavalcature.
Miles completò il posizionamento delle sue truppe muovendosi su tutto il fronte e dando ordini chiari e perentori ai suoi ufficiali. Va dato atto al colonnello di aver disposto in maniera eccellente le sue forze, evitando di lasciare zone “deboli” nello schieramento, ma anzi assegnando compagnie in assistenza e supporto ad altre compagnie.
Questo influì significativamente e positivamente anche sul morale dei soldati e conseguentemente sull’esito della battaglia. Per una più precisa descrizione dei movimenti e delle posizioni delle forze in campo si rimanda alla cartina che segue.


La cartina della battaglia di Wolf Mountain

Erano circa le 7 del mattino dell’8 gennaio 1877 quando i guerrieri Lakota e Cheyenne Settentrionali attaccarono la compagnia K del 5° Fanteria dando così inizio alla battaglia di Wolf Mountain.
Quando gli indiani furono a distanza di tiro, i soldati risposero al fuoco e, grazie anche alle cannonate dei due pezzi di artiglieria, respinsero gli attacchi che a più riprese vennero loro portati.
Orso di Medicina e Cavallo Pazzo guidarono i loro guerrieri attraverso il fiume ghiacciato e cercarono di portare i loro attacchi da due direzioni diverse. I soldati, tuttavia, pur essendo più in basso, erano ben posizionati e, attraverso intelligenti manovre difensive, evitarono di perdere posizioni cercando a loro volta di contrattaccare.
I tentativi dei soldati di conquistare le posizioni indiane erano spesso frustrati dalle difficoltà di movimento causate dal pesante vestiario oltre che dalla superiorità numerica del nemico.
Quando il gruppo di Cavallo Pazzo giunse fino a soli 50 metri dalle linee delle compagnie A e D, Miles ordinò alla compagnia C di muoversi in soccorso dei compagni, sostenendo la manovra con un fuoco di artiglieria. I Lakota furono quindi respinti ed inseguiti per un breve tratto.
La neve, che aveva ripreso a cadere abbondante, stava prendendo le sembianze di una vera e propria tempesta, peggiorata da un “blizzard” gelido e tagliente.
I combattenti di entrambe le fazioni erano prostrati dalla fatica e dal freddo e avevano quasi esaurito le munizioni. Per queste ragioni, poco dopo mezzogiorno, la battaglia poteva dirsi conclusa.


Un quadro che riprende la battaglia

Nonostante le migliaia di colpi sparati da entrambe le parti, oltre ai colpi di cannone, il bilancio della battaglia fu estremamente limitato in quanto a perdite umane. Questo può essere spiegato più con la scelta di buone postazioni e coperture sia in fase di attacco che di difesa piuttosto che con una scarsa precisione di tiro.
Tra i soldati ci furono 2 vittime ed alcuni feriti, mentre gli indiani contarono 2 morti tra i Lakota oltre al Cheyenne Grande Corvo e ad un certo numero di feriti.
Nel suo rapporto Miles, forse ingannato dalle pozze di sangue trovate presso le postazioni indiane dopo la battaglia, riferiva erroneamente di “… gravi perdite…” dei suoi avversari.
La battaglia di Wolf Mountain si era conclusa con un sostanziale pareggio in termini di perdite e con il mancato raggiungimento degli obiettivi che entrambe le fazioni si erano prefissati. Il Col. Miles e le sue truppe non erano riusciti a sconfiggere definitivamente i Lakota e i Cheyenne, come speravano, lasciando ancora irrisolta la questione degli indiani “ostili” che continuavano a circolare nei territori intorno alle Black Hills.
D’altro canto, anche Cavallo Pazzo non poteva dirsi soddisfatto, dato che non era riuscito a ripetere la vittoria di Little Bighorn. Addirittura si ritrovava con alcuni Cheyenne prigionieri e un campo abbandonato ai soldati, per sfuggire al loro inseguimento. Questi ultimi non andarono oltre e Miles ordinò il rientro al forte, non giudicando opportuno proseguire le operazioni tenuto conto delle condizioni ambientali e della scarsità di munizioni.
I soldati rientrarono alla base il 18 gennaio chiudendo così la campagna invernale dopo un totale di 242 miglia di marcia.
L’azione di Miles aveva dimostrato che l’esercito era in grado di muoversi ed attaccare gli indiani nei loro territori anche in condizioni ambientali particolarmente difficili.
Sull’altro versante, gli indiani si stabilirono nella zona dei fiumi Bighorn e Little Bighorn, dove trovarono un buon numero di bisonti che consentì loro di passare un inverno accettabile almeno dal punto di vista delle scorte alimentari.
Tuttavia, la sensazione di sicurezza e potenza derivata dalla vittoria di Little Bighorn era venuta meno, e grande era l’incertezza in molti capi sul futuro del proprio popolo.
Nei mesi seguenti furono inviati molti messaggeri dai forti e dalle agenzie presso le varie bande con l’intento di convincere gli indiani “ostili” ad una resa pacifica. Tra questi messaggeri ci fu anche Donna Dolce, una delle Cheyenne catturate prima della battaglia, inviata da Miles per convincere alla resa la sua gente.
Infatti a partire dall’inizio della primavera, molti gruppi si arresero, arrivando alla spicciolata nei vari forti e agenzie.
L’ultimo, com’è noto, fu quello di Cavallo Pazzo.

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