L’Appaloosa, il cavallo degli indiani
A cura di Fabrizio Lo Cicero
Il cavallo, al giorno d’oggi, è visto come un animale estremamente lontano dalla nostra quotidianità, il simbolo di un’epoca passata, selvaggia, dall’Età del rame al Medioevo, dall’Età moderna a quella contemporanea. Oggi i cavalli li vediamo al circo, al Palio di Siena, da qualche allevatore in campagna, o magari in città, utilizzati per trainare le carrozze per i turisti.
I cavalli, però, hanno accompagnato passo passo la storia dell’uomo, e alcune razze sono legate indissolubilmente alla cultura di numerosi popoli. Avrete già capito dal titolo a cosa serve questo preambolo: a presentare l’Appaloosa, il cavallo degli indiani d’America.
Il termine “Appaloosa” deriva dal fiume Palouse, che attraversa gli Stati di Washington e Idaho, lungo i quali argini vennero allevati i primi esemplari della razza esportata dagli spagnoli nel XVI secolo. Gli uomini bianchi usavano chiamarli “Palaouse horse”, col tempo modificatosi in “Apalousey” e dunque Appaloosa.
L’Appaloosa è una delle razze più riconoscibili anche da chi non ha grande dimestichezza con i cavalli. Il suo mantello è prevalentemente maculato, esclusivamente sulla groppa o su tutto il corpo. Certi Appaloosa sembrano veri e propri incroci con dei dalmata. Adornati da ammalianti sfumature la cui pigmentazione, come di consueto, varia dal nero, al grigio, al marroncino, non esiste esemplare che non abbia almeno una macchia o una sfumatura lungo il corpo. Fisicamente sono cavalli forti e veloci, dai loro principali allevatori, i Nez Percé, venivano spesso adoperati nella caccia al bisonte. È proprio con la tribù dei Nez Percé che gli Appallosa condividono la loro storia, tanto che se a oggi abbiamo tracce di questa razza equina, dobbiamo molto ai Nasi Forati che vivevano quelle terre.
Gli Appaloosa sono una delle razze riconoscibili più antiche della storia, venivano già rappresentate in pitture rupestri risalenti a 18000 anni a.C, miniati nei manoscritti dopo la nascita di Cristo e raffigurati negli affreschi di chiese e palazzi nobiliari del Medioevo. La loro storia nel Nuovo Mondo ha inizio con gli spagnoli, che li esportarono e li allevarono nelle zone del Messico. In seguito a una rivoluzione che portò gli schiavi ad appropriarsi di cavalli e bestiame degli uomini bianchi, gli Appaloosa iniziarono a essere commerciati o scambiati con le tribù delle pianure e lentamente si diffusero anche a nord-est. Gli Shoshoni furono tra i principali commercianti. Una tribù in particolare venne rapita dalla bellezza e dalla singolarità di quegli esemplari e iniziò a comprarli (o spesso rubarli) con l’obbiettivo di farne una vera e propria ricchezza, erano i Nez Percé, indiani sedentari e pescatori, unici a concepire l’allevamento del cavallo più come optional che come reale necessità. Per i Nez Percé, l’Appaloosa divenne presto un patrimonio da preservare con cura: vendevano sistematicamente soggetti di minor pregio e rinvestivano i soldi in nuove mandrie acquistate dal sud, selezionavano cavalli forti, incredibilmente resistenti sulle distanze, caratterialmente docili e dai colori stupendi. La mandria divenne la ragione dei loro affari e del loro benessere, un motivo d’orgoglio. Tutto questo finché, sui loro territori, non piombò l’uomo bianco.
I Nasi Forati, in accordo con governo degli Stati Uniti, vivevano in una riserva di circa 30.000 km² divisa tra Idaho, Oregon e Washington. Nel 1860 vennero segnalate diverse miniere d’oro nei pressi dell’odierna Pierce e un gran numero di cercatori invasero la riserva senza il permesso dei Nez Percé. Al seguito arrivarono rancheros e agricoltori e fu fondata illegalmente la cittadina di Lewinston, senza che il governo americano si disturbasse a intervenire. Questo rappresentò uno dei primi sgarbi ricevuti dai Nasi Forati, che si sentirono profondamente oltraggiati dall’uomo bianco e dal governo che non rispettò gli accordi pattuiti. Nel 1863 il governo fece pressione sui Nez Percé perché vendessero il 90% del loro territorio e fu loro consigliato di spostarsi nella minuscola riserva di Fort Lapwai, al centro-nord dell’Idaho, ma numerosi capi tribù non considerarono valido l’accordo, rifiutando di trasferirsi. Nacquero delle prime dispute fra indiani e coloni che portarono a numerosi omicidi mai puniti. Nel 1876 le tensioni aumentarono ancora, ai Nez Percé venne dato un ultimatum di 30 giorni per trasferirsi nella riserva e, per umiliarli ulteriormente, il generale Oliver O. Howard imprigionò il capo anziano Toohoolhoolzote, dichiaratosi contrario allo spostamento. A quel punto i Nasi Forati cedettero alle minacce e attraversarono le acque tumultuose dello Snake River, in piena primaverile, per accasarsi nella riserva, gli Appaloosa più forti trainarono controcorrente zattere cariche di suppellettili, bambini e anziani.
I più deboli della mandria, tra puledri e femmine, non riuscirono a sopravvivere alla forza del fiume. Durante il tragitto altri scontri coinvolsero i Nez Percé e molti coloni furono assassinati, a quel punto la tribù era ufficialmente fuorilegge, ricercata dai reggimenti dell’esercito. La scelta non poteva essere che quella di fuggire il più lontano possibile dalla rappresaglia dell’uomo bianco, i Nez Percé percorsero in tappe forzate più di 2.500 km per arrivare al confine col Canada, loro auspicata destinazione. I granitici Appaloosa tennero testa senza cedimenti ai cavalli dei soldati, sempre freschi poiché cambiati a ogni stazione di posta. Durante il tragitto, sei furono gli scontri tra indiani ed esercito, e sei furono le sconfitte di quest’ultimo. Solo in prossimità del confine canadese, i Nez Percé abbassarono la guardia e furono colti di sorpresa dal generale Nelson Miles e le sue truppe, dopo tre giorni di lotta continua l’equilibrio fu rotto e i Nez Percé si dichiararono sconfitti attraverso le parole simboliche del loro uomo più importante, Capo Giuseppe, che disse: “Dal punto in cui si trova ora il sole non combatterò mai più.”
Molti tra i coloni udirono racconti dei cavalli Appaloosa, in cui si narrava del sostanzioso aiuto dato alla fuga dei i Nez Percé, e questo generò una nutrita domanda di questi animali. Molti furono venduti agli uomini bianchi, che iniziarono ad allevarli nei loro ranch. Questo permise la sopravvivenza della razza Appaloosa, del loro straordinario mantello, e del periodo più florido dei Nasi Forati di cui furono testimoni.