Washakie, capo degli Shoshoni
Capo Washakie
Gli Shoshoni furono prevalentemente alleati con il popolo bianco e raramente si resero protagonisti di episodi guerreschi nei loro confronti. Furono, piuttosto, eterni rivali dei Sioux e dei loro alleati e contro questi rivolsero ogni energia di cui disponevano. In tal senso deve forse essere interpretata l’alleanza con l’esercito delle “giacche blu”.
Uno dei personaggi di maggior spicco tra gli Shoshoni fu senza alcun dubbio il capo Washakie, vissuto tra il 1804 ed il 1900, a cavallo del periodo più turbolento per le popolazioni indiane dell’ovest.
Washakie era figlio di un indiano Umatilla e di una Shoshone e per quasi tutta la sua infanzia visse con il gruppo del padre. Di lui tutti ricordavano la pelle, di colorazione insolitamente chiara.
Solo nel corso della giovinezza si spostò nella tribù Shoshone della madre, maturando le prime e più significative esperienze di vita e divenendo rapidamente un guerriero temuto e assai coraggioso, in grado di mutare le sorti dei piccoli conflitti intertribali che sempre hanno caratterizzato lo scorrere del tempo tra le Nazioni indiane.
La famiglia di Washakie
I nemici di sempre, per gli Shoshoni, erano i Piedineri ed i Sioux, oltre che tutti i loro alleati.
Venne educato ai valori tradizionali degli Shoshone, al coraggio come alla carità e disponibilità nei confronti degli sfortunati della tribù. Tra i valori che anche gli Shoshone mettevano in primo piano vi era la capacità di ricercare i gesti eroici negli episodi bellicosi di cui la banda di appartenenza si rendeva protagonista o che subiva e quanto a questo Washakie non mancò di fare la sua parte, emergendo rapidamente tra tutti i giovani della sua tribù, al punto che già intorno ai 30 anni si trovava a capo di un gruppo di guerrieri (e famiglie) che veniva chiamato “la banda di Washakie”. Era un capo forte e deciso e fece ampia mostra delle sue particolari doti di politico.
Un ritratto di Washakie in piedi e armato
Dopo gli anni ’40 del secolo XIX comprese che l’avanzata dei bianchi, prima ampiamente sostenibile in caso di uno sforzo congiunto delle tribù delle pianure, sarebbe diventata un fiume in piena impossibile da arginare e per questo orientò la propria tribù alla pace con i soldati e con i coloni.
Negli anni ’50 il territorio in cui vivevano gli Shoshoni – dal fiume Wind a nord fino al fiume Green a sud – venne praticamente invaso da migliaia di coloni in passaggio, diretti ad ovest. Gli Shoshoni non pensarono minimamente di contrapporsi a loro, ma scelsero di aiutarli, guidandoli alla ricerca delle piste migliori e nel difficoltoso attraversamento dei fiumi e torrenti.
Recuperarono per loro il bestiame che si smarriva e li proteggevano dalle altre tribù della zona.
Per questi gesti di solidarietà ed amicizia numerosi bianchi diretti ad ovest non mancarono di esprimere pubblicamente la loro gratitudine nei confronti degli Shoshoni.
Washakie espresse il meglio di sé nel mantenere saldo il potere nelle proprie mani, ma anche recuperando l’unità politica del suo popolo (che si era perduta da numerosissimi anni), garantendo alla sua gente un lunghissimo periodo di stabilità.
Nessuno, mai, osò mettere in dubbio la capacità di capo Washakie, anche perché era forte il rischio di andare incontro a sonore e brucianti umiliazioni. Il capo era forte e ben piantato e quando, intorno ai 70 anni di età, si sentì dire che forse era il caso di favorire il passaggio di responsabilità verso altri leader, sparì per alcuni giorni, senza che alcuno sapesse ove fosse finito.
Washakie parla al gran consiglio della sua gente
Fece poi ritorno tra i suoi con 6 scalpi che esibì fieramente al consiglio dei capi. Il segnale era chiaro: il capo era ancora e sempre lui! D’altro canto il capo era piuttosto imponente, forte e indomito e non molti avevano il coraggio di contrapporsi a lui.
Il suo legame con i bianchi ebbe alcuni canali privilegiati: i cacciatori organizzati nelle compagnie – con i quali scambiava ben volentieri le pellicce degli Shoshoni – ed i soldati. Contro questi non volle mai impugnare le armi, suggerendo al suo popolo di fare lo stesso. Eppure non sempre veniva ascoltato.
Nel 1863, ad esempio, nel pieno della guerra contro i Bannock, alcune bande di Shoshoni decisero di battersi contro i bianchi, mentre lui trasferì immediatamente la propria grossa banda nei pressi di Fort Bridger (Wyoming), tenendola ben lontana dall’eco degli scontri e dalle difficoltà. Lo stesso Washakie servì per l’esercito in molte occasioni in qualità di validissimo scout o come ausiliario. Le occasioni predilette per stare accanto ai soldati erano, chiaramente, quelle in cui i suoi uomini e lui stesso potevano coprirsi di gloria contro i nemici tradizionali degli Shoshoni, i Sioux, i Piedineri e gli Cheyenne.
Un gruppo di Arapaho, Shoshoni e capo Washakie (a destra)
Tra il 1875 ed il 1876, in pieno inverno, l’accampamento di Washakie venne attaccato dagli Cheyenne di capo Dull Knife (Coltello Spuntato) che sconfissero duramente gli Shoshoni, suscitando in loro il desiderio di vendicarsi in qualunque modo fosse possibile.
Così non deve riuscire difficile inquadrare il gran lavoro svolto da Washakie ed i suoi prodi nell’ambito della durissima campagna finale contro i Sioux, Cheyenne, Arapahoes ed altri nel 1876-1877. se non fosse stato per gli Shoshoni, ad esempio, la battaglia del Rosebud (17 giugno 1876) sarebbe potuta concludersi con un vero disastro per il Generale Crook ed i suoi oltre 1000 soldati contro i 700 guerrieri condotti da Cavallo Pazzo.
Dull Knife dei Cheyenne settentrionali
Il legame degli Shoshoni con i soldati bianchi proprio quando era in gioco la libertà delle tribù indiane dell’ovest fu oggetto di aspre critiche, ma tutti gli storici hanno potuto concordare che quella scelta fu dettata dalla volontà di salvaguardare gli interessi della sua tribù, com’era in fondo tradizione tra gli indiani di quel tempo.
A conclusione della lunga guerra contro Sioux e Cheyenne nel 1877, gli Shoshoni non subirono un trattamento migliore degli indiani sconfitti, nonostante la lunga militanza al fianco dell’esercito americano. La riserva nella quale gli Shoshoni vennero rinchiusi era troppo piccola e lui espresse il malcontento della sua gente con parole pesantissime.
“L’uomo bianco, che ha preso possesso di questo immenso paese che va da un mare all’altro e che ha percorso a suo piacimento e si è insediato dove ha voluto, – disse capo Washakie – non può sapere quanto dolore ci procuri essere costretti a vivere su un lembo di terra così ridotto, con il ricordo incancellabile del fatto, che è noto a voi come a noi, che ogni metro di quella che chiamate con orgoglio America, non molto tempo fa apparteneva all’uomo dalla pelle rossa. Ma l’uomo bianco era venuto a conoscenza, in un modo che non ci è dato sapere, di cose che noi non avevamo imparato, come la costruzione di armi migliori, più utili in guerra dei nostri archi e delle nostre frecce.
Visita presidenziale del 1883 agli Shoshoni
La massa di gente che giunse dai paesi aldilà dell’oceano, sembrava non avesse mai fine. Fu così che i nostri padri furono a poco a poco cacciati o uccisi e noi, i loro figli, siamo solo quel che rimane di tribù potenti, stipati su un fazzoletto di terra, di un paese che non è il nostro, trasportati in massa, come detenuti già condannati e controllati da uomini con i fucili che si divertirebbero a spararci. Ma questo non è tutto. Il governo dei bianchi ci promise che ci avrebbe fornito in abbondanza il necessario per vivere bene se ci fossimo dichiarati soddisfatti di quel piccolo lembo di terra che ci era stato assegnato e che nessun uomo bianco avrebbe poi varcato il confine del nostro paese per cacciare la nostra selvaggina o per sottrarvi qualcosa che ci appartiene. Ma non ha mantenuto la parola!
Una tenera immagine di Washakie, ormai vecchio, con un bambino in braccio
Io sorrido perché sono felice che il mio cuore sia buono. Vedo i miei amici intorno a me ed è bello incontrarli o stringere loro la mano. Hai sentito ciò che voglio. Il fiume Wind mi spetta. Voglio la valle del fiume Wind per la mia patria e le terre che gli sono state assegnate a est, inoltre desidero avere il privilegio di cacciare tra le montagne, ovunque io voglia.”
Morì prossimo all’età di 100 anni, ormai cieco e paralitico. A lui fu riservato l’onore di un funerale militare, con un corteo lunghissimo accompagnato da tutta la sua gente e da una folta rappresentanza dell’esercito statunitense. La lapide che lo ricorda reca una scritta significativa: “Sempre fedele al Governo ed ai suoi fratelli bianchi.”