L’assassinio del Presidente Lincoln

A cura di Renato Panizza
L’assassinio di Lincoln
Washington D.C.- Casa Bianca – 14 Aprile 1865 – ore 20 circa.
Una signora con una graziosa cuffia ornata di fiorellini rosa e un abito scollato si infila i guanti: ”Caro… vuoi che arriviamo in ritardo?!“ Il Presidente si fruga in tasca e guarda l’orologio. Già!… quella sera c’era da andare a teatro. “Ho promesso alla Signora Lincoln di andare a teatro con lei – disse rivolto alle persone cui era vicino – è uno di quegli impegni cui non manco mai“. Si riferiva alle promesse fatte alla moglie.
Ma quella sera Abramo Lincoln era insolitamente felice, non per la prospettiva dello spettacolo teatrale, ma perché si sentiva finalmente il presidente degli Stati Uniti. Sì… Uniti! La guerra era vinta e l’Unione era stata salvata!
Salì sulla carrozza scortata da due cavalleggeri salutando tutti con la mano.
Nel teatro, davanti a una sala quasi piena – e ancora c’era la fila alla biglietteria – il primo atto della commedia “Il nostro cugino americano” stava già incominciando.
Il Presidente arrivò che erano le 20,25.
Una piccola folla di persone si era radunata per vederlo nella Tenth Street davanti al “Ford Teather”. Quando Lincoln entrò nel suo palco, l’attrice Laura Keene interruppe la recitazione e si unì al lungo applauso del pubblico.Il Maestro Withers alzò la bacchetta, e l’orchestra attaccò ”Il saluto al Presidente”. Poi, tutti si rimisero a sedere e Lincoln, seminascosto dalle bandiere, iniziò a interessarsi allo spettacolo.
Quella sera un certo John F. Parker, capelli biondi, virginiano sui trentanni, padre di tre figli, doveva fare il turno dalle 16 alle 24 come guardia del corpo del Presidente.


Questo è il più vecchio “dagherrotipo” che rappresenta Lincoln

Alla casa bianca erano già le 19 ma Parker non c’era ancora. Quando arrivò, con più di tre ore di ritardo, il suo collega William H.Crook non gli disse niente perché era un uomo paziente, anche troppo! Ma non doveva essere l’unica persona tollerante nella Polizia Metropolitana di Washington. Il curricolo di Parker dal 1861, anno in cui era entrato in Polizia, era pessimo: aveva già accumulato 14 infrazioni disciplinari e più volte era finito davanti a un Consiglio di Polizia per linguaggio insolente e abbandono del posto di lavoro; per essersi addormentato mentre era in servizio e per oltraggio ai superiori. Ma, nonostante tutto, a parte qualche sospensione, non fu mai licenziato e ora,addirittura, gli era stato affidato quell’incarico di prestigio. Lincoln e la moglie non sapevano nulla del passato di quest’uomo e si illudevano che gli agenti che avevano intorno fossero uomini con curricoli ineccepibili.
Per l’occasione due palchi erano stati riuniti in uno solo più grande, eliminando la sottile parete divisoria. Due erano le porticine di accesso, e alle loro spalle c’era un vano (al buio) a cui si accedeva tramite una piccola porta: su una seggiola lì davanti doveva stare la guardia del corpo di Lincoln, ma di fatto non ci rimase che per poco. Lincoln stesso aveva sempre mostrato indifferenza alle precauzioni per la sua sicurezza personale e anche quella sera fece così: pare che sia stato proprio il Presidente a dire alla sua guardia del corpo di trovarsi un posto migliore per poter seguire anche lui lo spettacolo. Ma ben presto Parker cominciò ad annoiarsi e se ne andò! Non erano ancora le nove che raggiunse fuori dal teatro Forbes, il domestico di Lincoln, e il suo cocchiere Burns… e i tre andarono a farsi una birra nella vicina osteria “Taltavult”.
La moglie di Lincoln
Abbandono del posto di lavoro! Ma chi ce l’aveva messo un tipo simile a far la guardia del corpo a un Presidente?! Oggi un comportamento del genere non sarebbe tollerato e verrebbe punito molto severamente. Ma all’epoca, all’agente Parker fu attribuita solo la responsabilità di essere stato negligente. Non esiste una verbalizzazione del fatto; i giornali di Washington non ne diedero rilievo, e già il 2 Giugno ’65 l’accusa era caduta.
Il collega Crook disse che…“Parker aveva capito di aver sbagliato, si era sentito colpevole come un criminale e da allora non era più stato lo stesso uomo”. Può darsi. Ma un giorno venne di nuovo pizzicato a schiacciarsi un pisolino in servizio, e questa volta finalmente si decisero a licenziarlo. Troppo tardi! Lincoln era già morto e sepolto da tre anni. Prima di arrivare al teatro la carrozza presidenziale aveva prelevato la figlia del Senatore Ira Harris, la signorina Clara Harris, con il suo fidanzato,il Maggiore Rathbone, entrambi emozionatissimi per l’onore di accompagnare i Lincoln e assistere allo spettacolo nello stesso palco. Ma la scelta della coppia era stata in realtà un ripiego.Con i coniugi Lincoln avrebbero dovuto esserci il Generale Grant e sua moglie. Il quotidiano di Washington “Evening Star” ne aveva anzitempo riportato la notizia.


Il palco presidenziale nel teatro

Ma Grant in persona alla riunione del Gabinetto dei Ministri delle ore 14, con un certo imbarazzo declinò l’invito: sua moglie fremeva dall’impazienza di recarsi a far visita ai figli e aveva in programma di prendere il treno delle 18 per Burlington. Lincoln, con uno sguardo leggermente ironico e in tono canzonatorio, lo ammonì che avrebbe avuto tutto il tempo per ricongiungersi ai figli dopo; mentre ora il popolo ardeva dal desiderio di vedere da vicino l’uomo che aveva battuto Lee.
Ma perché non rimandare la partenza? Il treno delle 18 era lentissimo e avrebbe impiegato addirittura 13 ore per arrivare a destinazione. Il mattino successivo, invece, con il treno delle 7,30 il viaggio sarebbe stato più breve di 5 ore.
Perché così tanta fretta? Perché non volersi fermare a Washington ancora una notte? Quella notte! Pare che alla moglie di Grant non andasse affatto a genio la moglie di Lincoln, e pur di scampare il pericolo di “sorbirsi” quella donna a teatro, sarebbe stata addirittura disposta a sobbarcarsi un viaggio di tredici ore… e a imporlo anche a suo marito!
Neppure il ministro della guerra Stanton aveva accettato l’invito.
Ma di ciò Lincoln non si stupiva perché conosceva l’avversione di Stanton per il teatro, e le loro mogli – di nuovo! – non si piacevano. Stanton da sempre raccomandava al Presidente di evitare per motivi di sicurezza teatri e luoghi pubblici in genere; e lui per primo applicava anche per sé questo principio. Eppure proprio Stanton fu in seguito sospettato di essere un mandante dell’omicidio.
Lincoln allora fece il nome del Maggiore Eckert, Capo dell’Ufficio Telegrafico del Dipartimento della Guerra. Eckert era un uomo alto e molto ben “piantato”, eccezionalmente forte; e viene spontaneo chiedersi cosa sarebbe cambiato se nel palco con il Presidente ci fosse stato un tipo simile. Ma Stanton gli rispose che quella sera c’era un lavoro urgente per Eckert.
Un aspetto curioso di tutta la vicenda è che Lincoln credeva ai sogni e aveva delle visioni. Alcuni ritengono che Lincoln fosse veramente dotato di capacità paranormali, e si dice che nella Casa Bianca aleggi ancora il suo spirito.
Il Maggiore Rathbone
Il Presidente parlava dei suoi sogni premonitori e delle visioni solo alle persone che pensava potessero capirlo, ed era convinto che l’arte di interpretarli appartenesse alla gente del popolo, ai “figli della natura”,che per certe cose almeno si dimostravano più saggi delle persone istruite. Lincoln era anche lui un “uomo della natura”. Nato in una “log cabin”, la capanna di tronchi dei pionieri, in uno sperduto angolo del Kentucky, crebbe nei boschi delle regioni più selvagge della valle del fiume Ohio, nell’Indiana e nell’Illinois: una vita durissima tra le bestie feroci e i pellerossa che gli avevano ucciso il nonno.
Un giorno si confidò con l’amico Ward Hill Lamon: ”… ero sdraiato su un sofà [ndr: davanti al divano c’era una vecchia credenza con specchiera] quando, alzando gli occhi, vidi riflesse in uno specchio due immagini di me stesso: una, raggiante di benessere, l’altra, cadaverica e spettrale”. Ed ecco l’interpretazione che ne diede: “…durante il primo periodo della mia presidenza sarei stato in buona salute, ma nel secondo la morte mi avrebbe colto”.
Lamon riferisce anche di un incubo che Lincoln ebbe non molto tempo prima di essere ucciso.
Sognò di sentire dei lamenti e di alzarsi dal letto per capire da dove provenivano; poi di vedere davanti a sé un catafalco con un soldato di guardia, e chiedergli: “Chi è morto alla Casa Bianca?”. Risposta: “Il Presidente”. Poi, di essersi svegliato per le grida di sgomento che provenivano dalla folla. Lo stesso giorno in cui morì, alle quattro del pomeriggio, si rivolse alla sua guardia del corpo che era di turno prima di Parker dicendo: “Sapete, Crook, credo che ci siano degli uomini che vorrebbero togliermi la vita…e non ho nessun dubbio che lo faranno”. In quel momento forse sperò nella presenza al suo fianco di un tipo prestante come Eckert.
Teatro Ford – ore 21,30
Nel vicolo buio dietro il teatro un uomo smontò da cavallo e si diresse verso la porticina che dava accesso al retro del palcoscenico; poi iniziò a chiamare.
Un negro, tale John Miles, aveva udito e vide il macchinista Ned Spangler,addetto al cambio delle scene, correre verso la porta. I due uomini si parlarono, poi Spangler rientrò; ma uscì subito dopo in compagnia di “Peanut” (Joseph Burroughs), che prese in custodia il cavallo. Spangler e il cavaliere entrarono nel retro del teatro. Gli attori che erano dietro le quinte riconobbero subito il collega e gli sorrisero: il cavaliere era John Wilkes Booth.
Booth, passò sotto il palcoscenico e se ne uscì nella Tenth Street; stette un po’ lì a guardare i manifesti e poi decise di andare a bersi qualcosa.


L’annuncio dello spettacolo teatrale

Alla taverna “Taltavult” trovò il cocchiere e il cameriere di Lincoln con la guardia del corpo Parker che se la raccontavano. Un cliente un po’ brillo riconobbe Booth e alzò il bicchiere in segno di sfottò: ”Non sarete mai l’attore che fu vostro padre!”
Booth sorrise calmo: “Quando lascerò il palcoscenico sarò l’uomo più famoso del mondo!”. Il ventottenne John Wilkes Booth era figlio d’arte. Il padre, Junius Brutus, attore certamente più illustre di lui, finì tragicamente pazzo; e il fratello maggiore Edwin divenne uno dei maggiori attori tragici d’America. John Wilkes, tipo irrequieto, strano, buon tiratore e cavallerizzo, dotato di un certo fascino e donnaiolo, aveva sempre vagabondato, smanioso di fare cose eccezionali. Allo scoppio della guerra si era chiassosamente dichiarato filo-sudista , senza mai arruolarsi nell’Esercito della Confederazione perché temeva di dare un dispiacere in famiglia,dove erano tutti convinti unionisti. Aveva sempre fatto solo l’attore, ma a partire dal 1864 decise di darsi da fare a favore del Sud e mise in piedi una banda di cospiratori con l’intento di rapire Lincoln, portarlo in Virginia e offrirlo alla Confederazione per ottenere un riscatto. Poi, dopo due tentativi di rapimento falliti, le sue idee volsero all’omicidio. Pare che avesse avuto in passato incontri in Canada con esponenti dei Servizi Segreti sudisti,ma non si trovarono mai prove sicure per avvalorare l’ipotesi di un complotto ordito dai Capi della Confederazione.
L’orologio del teatro faceva le 22.07 e la commedia era ormai più che a metà.
La bandiera del palco presidenziale
Booth rientrò e passò tranquillamente davanti all’addetto al controllo dei biglietti che gli sorrise: era praticamente di casa e aveva sempre libero accesso al teatro Ford. Arrivò al palco percorrendo il corridoio laterale, dietro le poltrone poste ai lati della platea e vide che non c’era nessuno di guardia. Si rese conto che avrebbe avuto via libera, senza la necessità di farsi strada lottando. Appena varcata la soglia che dava accesso al piccolo e buio corridoio dei palchi, bloccò la porta dall’interno con un’assicella di legno di pino, in modo da avere le spalle protette. Poi si mosse verso il palco e sbirciò attraverso un foro che era stato praticato sulla porta: vide l’alto schienale della sedia a dondolo e la testa del Presidente che sporgeva. Chi l’aveva fatto quel buco? Un operaio del teatro o direttamente l’assassino?
Questo fatto non è stato ben chiarito, ma bisogna sapere che verso le 18 del pomeriggio di quel fatidico giorno, il 14 Aprile 1865, Booth si recò al teatro e portò a bere alla taverna gli unici quattro uomini che in quelle ore di inattività si trovavano all’interno: tre macchinisti di scena e l’addetto alla biglietteria. Offrì loro una bella bottiglia piena di whisky e se ne andò. Si, ma dove? Al suo albergo o nel teatro, che era aperto e senza nessuno all’interno? Avrebbe avuto tutto il tempo di fare quel buco, studiare i dettagli della situazione e anche di preparare e nascondere l’assicella di legno di pino che gli sarebbe poi servita per bloccare la porta. Assicella e incastro nel muro che furono entrambi trovati dopo il delitto. Inoltre Booth era stato visto nel teatro quella mattina, durante le prove, e aveva avuto la possibilità di studiare con calma il piano d’azione. Palco del Presidente – ore 22,15.


Il palco presidenziale in una foto d’epoca

Il Presidente se ne stava quasi sempre rincantucciato nel suo angolino, protetto dall’indiscrezione degli sguardi dai pesanti paramenti. Prima di entrare, Booth attese il momento giusto: a una certa battuta, che lui conosceva benissimo, sul palcoscenico sarebbe rimasto un solo attore a recitare un monologo che faceva sempre ridere fragorosamente gli spettatori. Quello era il momento giusto per entrare ed agire!
La battuta arrivò: “Non conosco gli usi della buona società, eh?!” disse ad alta voce l’attore.
La pistola era puntata dietro la testa, tra l’orecchio sinistro e la spina dorsale. L’arma di Booth era una piccola Deringer a un colpo.
In quel momento tutta la platea vibrava di risate: partì il colpo!
Il Presidente non si mosse; semplicemente inclinò la testa su di un lato.


L’attore John W. Booth, assassino di Lincoln

Senza esaltazione e a voce non particolarmente alta, Booth esclamò: “Sic semper tyrannis!” Era il motto presente sulla bandiera della Virginia.
La risata della signora Lincoln divenne subito sgomento!
Quando Booth cercò di passare tra la moglie e il Presidente, il Maggiore Rathbone, scattato in piedi, gli si avventò contro; Booth lasciò la pistola, tirò fuori un coltello e lo colpì.
“Vendetta per il Sud!” – gridò. Poi iniziò la manovra per lanciarsi sul palcoscenico, aggrappato al parapetto, volgendo la schiena al pubblico: ma uno sperone si impigliò in una bandiera, Booth perse l’equilibrio e cadde con tutto il peso sul piede sinistro, procurandosi una frattura.
Tutto si fermò. Tutti erano sbigottiti e ammutoliti. Laura Keen uscì fuori e quasi si scontrò con Booth che impugnava ancora il coltello. Dal palco si udiva solo, altissimo, l’urlo straziante della signora Lincoln. Un Maggiore dell’Esercito, Joseph Steward, che era in prima fila, si arrampicò sul palcoscenico: ”Fermate quell’uomo!” – gridò.


Dalla galleria si apre un piccolo vano nella parete del palco

Ma Booth, pur zoppicando, aveva già infilato la via d’uscita verso il retro. Diede un calcio nello stomaco a “Peanut”, che gli aveva tenuto pazientemente il cavallo, e con una certa fatica riuscì a salire in sella, appena in tempo per sfuggire al Maggiore Steward che stava sopraggiungendo di corsa. Spronò forte e infilò il vicolo. Prese a sinistra, dove sapeva che avrebbe incontrato uno sbocco verso la 9th Street -quello sbocco esisteva solo nel 1865 – e la strada fu libera, senza ostacoli. Percorrendo la Pennsylvania Avenue arrivò in un quartiere di baracche che conosceva bene, buio e sicuro per lui; e prese verso la Virginia Avenue. Fra tutte le vie di fuga possibili Booth scelse proprio quella che la sera del delitto era certamente la più sicura, la meno sorvegliata. Ancora un ultimo ostacolo, un ponte sorvegliato, il Navy Yard Bridge nei pressi dell’Arsenale della Marina sul lato Sud-Est di Washington,e poi sarebbe fuggito dalla città, libero!
Il ponte di legno era sorvegliato da alcune guardie. In teoria, dopo le nove di sera nessuno avrebbe più dovuto transitare. Ma alle 22,45 arrivò Booth,dichiarò il suo nome vero, e dopo alcune domande di circostanza le guardie lo fecero passare.
Dopo poco arrivò un altro cavaliere che disse di chiamarsi “Smith”, e anche lui fu fatto passare. Si trattava in realtà di un certo David Herold, uno dei complici dell’assassino.
Non risulta che alle guardie venne mosso alcun rimprovero:forse avevano la consegna di non far entrare nessuno, più che di non far uscire.


Una ricostruzione dell’attimo dell’uccisione

David Herold faceva parte della banda dei cospiratori di Booth, assieme ad altri cinque uomini: Lewis Paine, George Atzerodt, Michael O’Laughlin e John Surrat. La madre di Surrat, Mary, gestiva a Washington una pensione che era diventata un covo di seches, com’erano chiamati i filo-sudisti che la Polizia di Washington teneva d’occhio. Ma quel tragico giorno Booth aveva attivato solo tre dei suoi uomini: il suo piano era di decapitare il Governo dell’Unione, incaricandosi personalmente di uccidere Lincoln, e ordinando a Paine e a Herold di liquidare il Segretario di Stato Seward; mentre Atzerodt doveva sparare al Vicepresidente Johnson. I colpi dovevano essere portati a segno contemporaneamente, intorno alle 22, per gettare nella più totale confusione la città. Ma solo Booth riuscì nel suo intento: Paine e Atzerodt fallirono e vennero presi (e poi impiccati). Herold e Booth riuscirono invece a fuggire ma vennero catturati anche loro una decina di giorni dopo. Torniamo ora al Presidente ferito.


La fuga dell’assassino

Nel teatro Ford la gente non sapeva più che fare, e regnava la confusione più totale. Si sentivano persone piangere, altre gridare.La voce che il Presidente era stato assassinato cominciava a correre per tutta la città: “E’stato Booth!… E’ stato Booth!…”
La notizia si unì a quella dell’attentato a Seward e si diffuse la voce che in città girasse una banda di assassini pronti a tutto.
Nel palco presidenziale, il Maggiore Rathbone, grondante sangue dalla profonda ferita al braccio, aveva tolto l’assicella che bloccava la porticina, e si riuscì finalmente a far entrare un medico: si trattava del Dr. Charles Leale, un giovane ufficiale medico dell’esercito conosciuto come un grandissimo estimatore del Presidente. Leale diresse con bravura e decisione la prima, delicata assistenza prestata al Presidente prima che arrivassero altri due medici, il dr.Taft e il dr.King. Ispezionò il corpo di Lincoln, e infine trovò la ferita: la scoprì grazie al fatto che la sua mano appoggiata alla testa di Lincoln si bagnò di sangue. Il colpo di pistola a causa delle risate del pubblico probabilmente era stato udito solo da pochi, e sulle prime il medico aveva esplorato il corpo di Lincoln alla ricerca di una ferita da arma da taglio.
Sotto l’orecchio sinistro c’era un piccolo buco: il proiettile aveva attraversato il cervello dal basso verso l’alto, in direzione dell’occhio destro, e lì si era fermato.
La sua diagnosi fu ferma e senza speranze: la ferita era mortale! Ormai era solo questione di tempo.
Fa rabbia pensare che tutto ciò forse non sarebbe accaduto se Lincoln avesse ricevuto in tempo un telegramma mandato dal Generale Ord, comandante l’area di Richmond, la città che era stata capitale della Confederazione.
Campbell e Hunter, due autorità vicine al Presidente della Confederazione Jefferson Davis, intendevano comunicare con la massima urgenza di essere pronti a partire per Washington, anche subito, per riferire con il Presidente Lincoln cose della massima importanza. Ma quel telegramma trasmesso da Ord alle ore 11,00 del 14 Aprile 1865, Lincoln non lo ricevette mai: stazionò per motivi che nessuno sa per oltre dieci ore al Ministero della Guerra e quando arrivò alla Casa Bianca Lincoln era già diretto al teatro Ford per assistere allo spettacolo… della sua morte, come nei suoi sogni profetici.
Booth scappa via
Si cercò un posto per ricoverare il Presidente ferito, il più vicino possibile per evitargli di morire durante il trasporto. Uscirono dal teatro sorreggendolo in sei con la massima cautela.
Fuori la gente riempiva le strade: un capitano, raccolta una piccola truppa, sguainò la spada e fece largo tra la folla. Trovarono ospitalità presso la casa di un sarto, tale William Petersen, al 453 della Tenth Streeth. Il Presidente fu sdraiato in un letto, ma per traverso e con le gambe penzoloni, perché Lincoln era troppo alto per quel letto.
I suoi piedi erano gelidi, il polso molto debole; la pupilla sinistra contratta e la destra dilatata non mostravano di reagire alla luce. Si tentò di estrarre il proiettile, dopo aver sondato la ferita fino a 10 cm dentro il cervello, ma inutilmente. Iniziò una lunga agonia. Lo strazio della moglie fu terribile.
Il Dr. Taft disse in seguito: “E’ il più penoso trapasso al quale abbia mai assistito”.
A mano a mano che le ore passavano il respiro di Lincoln si faceva spasmodico e intermittente, a tratti esplosivo; le pulsazioni sempre più deboli, il polso e le gambe freddissimi, le labbra cianotiche, le palpebre gonfie e livide, l’occhio destro nero; iniziarono emorragie…
Gli era accanto il suo medico di famiglia, il Generale dr. Joseph K. Barnes, ma non poteva fare più nulla, solo cogliere l’attimo fatale. E questo arrivò, alle 7,22 del mattino: il respiro si fece breve e intermittente… poi il petto si sollevò in un ultimo, lungo respiro… come liberatorio.
Barnes gli rovesciò una palpebra e gli auscultò ancora una volta il petto; poi prese due monete d’argento e le pose sugli occhi chiusi.
Lincoln venne riportato alla Casa Bianca; ma per poco, perché il suo corpo fu sottoposto all’autopsia. Nove persone erano presenti: venne aperta la testa e si vide chiaramente che il proiettile entrato a sinistra della linea mediana era penetrato verso il centro della massa cerebrale posizionandosi infine sul lato destro del cervello. I solenni funerali si tennero lungo la Pennsylvania Avenue il 19 Aprile. Poi Lincoln venne trasportato in treno fino a Springfield,in Illinois.


Il percorso seguito nella fuga

Intanto, Booth ed Herold erano in fuga verso la Virginia. Prima di attraversare il fiume Potomac si recarono da un certo dottor Mudd dove si riposarono 12 ore. Booth si fece curare la gamba e si fece dare una stampella. Fu un incontro casuale o i tre si conoscevano già? Durante la guerra civile il dr. Mudd non fu solo un semplice simpatizzante del Sud, ma svolse un certo ruolo nelle attività “sotterranee” della Confederazione. Il suo primo incontro con Booth risale al 13 Novembre 1864 a St. Mary’s Church, nel Maryland; poi ci furono altri incontri. Al processo che si tenne un mese dopo, il medico disse che non aveva riconosciuto Booth, perché i due si erano presentati con i nomi di Tyson e Henston. Due settimane prima dell’assassinio, Booth aveva inviato al dottor Mudd liquori e provviste. La posizione di Mudd si aggravò a tal punto che gli venne comminato il carcere a vita, e schivò la forca per la differenza di un solo voto!


La gang di assassini

A proposito della fine di Booth esiste un famoso documento. Si tratta del lungo e dettagliato resoconto del soldato semplice di Cavalleria John W. Millington, fatto a un certo professor C. Louis Barzee a proposito della sua parte nella cattura e uccisione dell’assassino di Lincoln. Solo nel Febbraio del 1937 il giornalista Fred Lockley ne fece pubblicare il contenuto sul Portland Journal. Millington racconta che il suo comandante, il Tenente Dougherty, si recò nell’ufficio del Colonnello Baker, capo degli scouts e dei detectives governativi, davanti al quale il loro reparto si era fermato, e ne uscì insieme a due agenti; poi proseguirono alla ricerca di Booth navigando lungo il Potomac su un battello a vapore.


La taglia sugli assassini

“Il Tenente ci mostrò la foto di Booth – racconta – e ci disse che aveva attraversato il fiume nei pressi di Port Tobacco”. Arrivati ad Acquia Creek, sbarcarono verso le dieci di sera e cominciarono le ricerche in tutta l’area. L’indomani incontrarono dei pescatori che dissero di aver visto il giorno prima passare di lì tre uomini, di cui uno era un capitano confederato e un altro assomigliava all’uomo della foto, Booth. Quando attraversarono il fiume Rappahannock, il proprietario del barcone che li aveva traghettati a gruppi di dieci alla volta, un certo Rowlen, confidò di aver trasportato alcuni giorni prima degli uomini, e che tra loro aveva riconosciuto il Capitano Jett, che aveva combattuto con i Rangers di Mosby.
Lincoln fu ricoverato qui
E disse anche che avrebbero potuto raggiungerli intorno a Bowling Green, e che lui li avrebbe guidati. Presso una fattoria incontrarono un uomo a cavallo che subito scappò appena li vide. Lo inseguirono ma non riuscirono a prenderlo. Quando verso le undici di sera furono a Bowling Green catturarono l’Ufficiale sudista che si era rifugiato in un Hotel, e lo costrinsero a rivelare dove si nascondevano gli altri due uomini: disse che non sapeva esattamente chi fossero, se non che erano ex-soldati del Sud in difficoltà.
“Ci guidò indietro lungo la strada che avevamo già fatto – racconta Millington – fino a che arrivammo nei pressi di una casa che lui ci additò da una certa distanza: era la casa dei Garrett, la stessa nei pressi della quale avevano incontrato alcune ore prima il misterioso cavaliere. Ormai era notte. Aprimmo il cancello con molta prudenza e dopo aver circondato la casa, bussammo alla porta. Arrivò Garrett, e gli chiedemmo dov’erano i due uomini. Dal momento che disse di non saperne niente, il nostro Ufficiale ordinò di appendere il vecchio con una corda per vedere se il trattamento gli rinfrescava la memoria! A un certo punto, corse verso di noi un giovane e chiese che cosa volevamo. L’ufficiale gli rispose che volevamo i due uomini nascosti lì. Ci disse che erano nel granaio e io venni mandato con una parte della Compagnia a circondare il granaio. Il Tenente, appena sentì dei mormorii all’interno gridò di venir fuori. Noi potevamo udire uno di loro (Booth) che diceva all’altro (Herold) che era un vigliacco. Herold si arrese e apparve sulla porta; lo prendemmo e lo legammo ad una pianta. Fui chiamato io a fargli la guardia. Il Tenente intimò di nuovo a Booth di arrendersi, ma Booth gridò: “Combatterò anche da solo… non mi arrenderò mai!”
Il detective Conger si portò su un lato del granaio e accese alcune pagliuzze sul davanzale di una finestra: l’edificio incominciò a illuminarsi. Poi si sentì uno sparo!…”
Ormai era notte fonda, ma la luce delle fiamme permise di intravedere la figura di Booth:il granaio era un edificio di legno pieno di buchi e fessure, e il Sergente Corbett aveva trovato agevolmente l’apertura dove poter sparare. Booth cadde colpito ma non morì subito. Venne preso e portato nella veranda della casa Garrett. Fu inviato un uomo a cercare un medico a Port Royal, che era abbastanza vicino. Il Dottore arrivò all’alba e Booth, pur semi-incosciente, era ancora vivo. Il medico provò a somministrargli un farmaco, ma Booth scosse la testa, e non volle.


In questo letto morì Lincoln

Booth visse ancora tre ore. Le sue ultime parole furono: ”Dite a mia madre che quello che ho fatto, l’ho fatto per il bene del Paese”. Il suo corpo venne avvolto in una coperta e messo su un vecchio carro che un negro condusse ad Acquia Creek. Il giorno dopo,il 27 Aprile 1865, con l’autopsia effettuata sul suo corpo, i dottori Barnes e Woodward constatarono l’esistenza di una frattura del perone poco sopra la caviglia.
I due figli di Garrett, che erano stati entrambi rangers di Mosby, furono arrestati e condotti via per essere interrogati. Il Capitano confederato invece fu lasciato andare: questo era il patto per avere guidato alla meta i cavalleggeri del 16° New York Cavalry.
Dal racconto del soldato Millington si evince che Booth non sarebbe stato deliberatamente assassinato: non voleva consegnarsi e aveva dichiarato che si sarebbe battuto; e a scontro iniziato fu lui a lasciarci la pelle per opera del primo soldato che aveva fatto fuoco. Tuttavia sulla vicenda della morte di Booth c’è il sospetto che a sparare non sia stato Corbett ma il detective tenente-colonnello Conger. L’unica cosa certa è che l’autopsia stabilì che il colpo non era partito da un fucile ma da un revolver. In seguito, molti anni dopo, nel 1878, Corbett iniziò a dare segni di squilibrio mentale e lo trovarono nascosto vicino a Concordia in Kansas. Non dimentichi della sua fama gli dettero un posto come portiere della Stanza dei Deputati del Kansas; ma il 15 Febbraio 1887 fece fuoco nel Palazzo della Legislatura; lo dichiararono matto e lo rinchiusero al manicomio di Topeka. Da lì fuggì il 26 Maggio 1888 e di lui si persero per sempre le tracce. Nelle tasche di Booth il detective Conger trovò un diario che conteneva le annotazioni dei fatti compiuti in quei giorni scritte di proprio pugno da Booth. Lo prese e lo consegnò a LaFayette C.Baker che era capo del National Detective Police del Dipartimento della Guerra, e questi lo portò al Ministro Stanton. Il Diario non venne mai esibito durante il processo ai cospiratori. Fu ritrovato nel 1867, dimenticato in uno scaffale del Ministero della guerra con parecchie pagine mancanti, come minimo 18. Se le avesse strappate il detective Conger o il ministro Stanton, o chi altri, non si seppe mai. David Herold venne impiccato il 7 Luglio 1865 insieme a Mary Surrat, George Atzerodt e Lewis Paine. Tutti giudicati da un tribunale militare e ritenuti responsabili dell’omicidio di Lincoln e dei tentati omicidi di Steward e Johnson.

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