Capo Seattle
A cura di Paolo Andreucci e Big Jake
Capo Seattle nacque forse nel 1786. Il suo nome era in origine See-Yahtlh almeno per la sua gente. Il suo padre era un celebre leader e capo di guerra. Ma sua madre era una schiava, al punto che lui stesso è stato considerato di “nascita bassa”. Nel periodo della sua nascita, la zona di Puget Sound fu sconvolta dal vaiolo, malattia portata dall’uomo bianco che gli venne contagiata ancor prima che potessero vedere un solo uomo bianco. Ebbero però occasione di vederne le grandi navi di passaggio in una delle rade del posto. Gli indiani unirono questi segni in una conferma che la fine del mondo era arrivata e, sicuramente, con l’avanzata dei bianchi, il loro mondo volgeva effettivamente al termine.
Nel 1792, la nave del capitano Vancouver, Discovery, arrivò tra i nativi per commerciare. Questo evento lasciò un ricordo assai duraturo all’allora bambino di otto anni che sarebbe diventato Capo Seattle. Iniziò prestissimo ad apprezzare la tecnologia occidentale, particolarmente le armi da fuoco per le quali provò un profondo rispetto dopo che potè vederne i devastanti effetti in qualche incursione. Dopo 1800, si fecero frequenti le schermaglie con le tribù a nord o a est della Columbia. Il motivo erano le continue razzie di queste tribù che la gente di Capo Seattle doveva sopportare. Molto spesso venivano anche rapiti bambini e donne per aumentare le forze dei propri gruppi o per rivenderli con guadagno ad altre tribù ancora. Kitsap, un capo dei Suquamish, condusse un gruppo di guerra fino all’isola di Vancouver per vendicarsi della gente di Cowiche e Seattle prese parte a questa battaglia distinguendosi per coraggio e ardore.
Al momento della spedizione di Clark e di Lewis -1805-06- le battaglie fra le popolazioni della zona di Puget Sound erano al loro apice. Seattle stesso condusse vittoriosamente i Saquamish contro i Green e White River che frequentemente si spingevano dalle loro parti per rubare. Uno dei suoi metodi per fronteggiare i nemici era molto intelligente. Poiché era risaputo che la maggior parte dei attacchi si svolgevano nottetempo e che i nemici arrivavano perlopiù dal fiume, fece tagliare un grosso tronco e lo fece mettere di traverso in un puto del fiume in prossimità del suo villaggio, appena un pelo fuori dell’acqua. Quando gli incursori arrivavano presso i Suaquamish finivano per cozzare irrimediabilmente contro il tronco, rovinando le canoe e rischiando di affogare (le abilità natatorie erano cosa rara tra le genti native). In quel momento arrivavano Seattle ed i Suquamish a completare l’opera e a mettere definitivamente in fuga i nemici. Da lì a poco Seattle prese il nome di suo padre, See-Yahtlh, durante una cerimonia “potlatch” . Divenne capo dei Duwamish e dei Suquamish subito dopo la sua vittoria sui Green River. Fu un capo temuto e rispettato dalle genti della zona di Puget Sound.
Angelina, figlia di Capo Seattle
Nel 1811, nacque il suo primo figlio, una deliziosa bambina che i coloni bianchi conobbero come Principessa Angelina.
Seattle era famoso anche per aver tenuto presso la sua tenda ben otto schiavi e alcune concubine.
Nel 1832, la Hudson Bay Company del Hudson prese ad edificare un piccolo punto di scambio nella zona dei Suquamish che presto divennero attivi frequentatori traendone ampi benefici e vantaggi. Allo stesso tempo, i bianchi si mostrarono fortemente interessati a cristianizzare gli indiani, battezzandone alcune centinaia. Seattle fu tra questi e ricevette il nuovo nome – da battezzato – di Noah. L’occasione della cristianizzazione avviò rapporti ancora più stretti con i bianchi e Capo Seattle seppe avvantaggiarsene. Favorì la costruzione di cappelle e di piccoli centri di educazione e studio per la sua gente e avviò con decisione un’apia serie di riforme organizzative.
Continuò a prendere parte a numerose spedizioni di guerra contro altri indiani. Nel 1841, a 55 anni, ne guidò una contro i Chemakum dalle parti di Port Townsend. Certamente fu il capo più attivo nelle spedizioni guerresche, almeno tra quelli di Puget sound.
In 1850, i bianchi di Ebey-Shaw raggiunsero la baia di Elliot furono ben accolti da Capo Seattle che desiderava commerciare con loro. Gli propose persino di costruire un loro posto di scambio vicino alla sua gente ad Alki. Maynard, agente indiano e commerciante, fu felice al punto da voler cambiare il nome di un piccolo insediamento di uomini bianchi (la cittadina a suo tempo costruita da Arthur Denny) in Seattle. Il capo non fu molto felice di questo in quanto nella sua cultura un fatto simile poteva occorrere solo per celebrare un defunto ma alla fine, aiutato anche da doni e denari, si fece convinto.
Il 10 gennaio 1854, il Governatore Territoriale Isaac Stevens giunse a Seattle per provare a convincere i Suquamish e i Duwamish a muoversi verso una riserva. Capo Seattle si trovava là e in un discorso suggerì agli indiani di andare nella riserva a patto, però, di mantenere il diritto di ritornare nelle terre ancestrali e nei luoghi di sepoltura quando lo avessero voluto, anche solo in visita.
Capo Seattle
Venne così stipulato un trattato e Capo Seattle fu tra i firmatari anche se si mostrò appena turbato dal fatto che gli uomini bianchi intendessero prestare maggiore fiducia ad un atto scritto piuttosto che alle parole.
In seguito alla stipula del trattato, Capo Seattle fu rispettato principalmente per le sue doti diplomatiche piuttosto che per le imprese guerresche. Stevens decise di nominarlo rappresentante delle due tribù, Suquamish e Duwamish, ma gli ultimi non intesero riconoscerlo come tale.
Nella riserva operò sempre come mediatore tra le volontà dei bianchi e le esigenze della sua gente. Arrivò anche a liberare i suoi schiavi, per rispettare la volontà del Presidente degli USA che nel 1863 aveva decretato la fine della schiavitù. Si adoperò anche come giudice nella sua riserva ma l’avvento dell’alcool e la perdita delle radici culturali gli fecero ritenere questo incarico assolutamente inutile. Era meglio dedicarsi a perorare la causa della propria gente tra i dominatori bianchi.
Morì il 7 giugno 1866. Al suo funerale parteciparono tantissimi indiani ed uomini bianchi. Le lettere I.H.S. più successivamente sono state iscritte sulla sua lapide. Corrispondono al Latino “in spiritus hoc” che significa “ho sofferto.”