La fotografia di Cavallo Pazzo
A cura di Maurizio Biagini
La storia è rimbalzata dalle pagine della Gazette della città di Billings, stato del Montana, per approdare alla rete sul sito ufficiale del Parco Nazionale del Little Bighorn.
La vicenda prende spunto da un fatto di cronaca locale e si riallaccia alla ben nota polemica sull’autenticità di una foto che recentemente alcuni studiosi hanno attribuito a Cavallo Pazzo.
Come tutti gli appassionati della storia del west sanno, non esistono immagini ufficiali del grande leader militare Lakota, caso molto raro tra i grandi uomini delle tribù native, che in un modo o nell’altro hanno sempre lasciato alla storia traccia dei loro volti.
Le foto che sono state attribuite a Crazy Horse sono nel migliore dei casi molto dubbie e in altri casi appartenenti ad omonimi o a capi minori.
Nonostante ciò, il mito del coraggioso guerriero Sioux, strenuo difensore della causa della sua gente, ha fatto il giro del mondo affascinando intere generazioni, e l’alone di mistero che lo circonda ha aumentato la curiosità intorno alla sua figura.
Ne sa qualcosa l’italiano Pietro Abiuso, uno che se abitasse ancora nel paese dove è cresciuto, sarebbe sicuramente membro fisso di questo sito. Per lui il vecchio west è sempre stato un sogno e Cavallo Pazzo ne ha rappresentato bene il mito ed il mistero.
Emigrato ventitreenne negli Usa, Pietro ha cominciato a lavorare per il servizio postale americano a New York, continuando a coltivare la sua passione per la storia della frontiera e per il mito di Cavallo Pazzo.
Secondo la storia della Gazzette, il nostro connazionale nell’inverno del 2003, è atterrato all’aeroporto di Billings, Montana, per poter finalmente vedere con i propri occhi ciò che lo ha ossessionato per più di 20 anni: la foto originale di Cavallo Pazzo.
L’immagine era già conosciuta dagli studiosi, ma sempre circondata da generale scetticismo. Come Mr. Abiuso sia giunto alla sua conclusione e sia arrivato alla fine della ricerca è quantomeno curioso e molto legato alla spiritualità nativa.
Abiuso, infatti, ha fatto ben sette viaggi nei territori in cui Cavallo Pazzo visse, studiando in maniera approfondita tutto il materiale disponibile sul guerriero. E la sua personale ossessione lo ha portato, a suo dire, al punto di vedere il suo mito in sogno che lo fissava davanti alla sua tomba. Nient’altro che un sogno, certo, ma un giorno, sfogliando le pagine di un libro (To Kill an Eagle: Indian Views on the Last Days of Crazy Horse) riconobbe in una foto il volto che aveva sognato tempo prima.
Si tratta dello scatto che recentemente, molti studiosi hanno accreditato come la più probabile immagine dell’eroe Lakota, quella che presumibilmente fu scattata a Fort Robinson pochi mesi prima dell’uccisione di Cavallo Pazzo.
Abiuso, con un paziente lavoro di investigazione, è riuscito a ricostruire la storia della foto (scatto, questo è sicuro, del fotografo della frontiera James Hamilton) e addirittura a rintracciare l’ubicazione della lastra metallica su cui era impressa l’immagine.
Dopo ulteriori indagini, l’italiano, è riuscito a scoprire che esisteva un documento autografo, firmato dalla figlia del proprietario della lastra, che dichiarava esplicitamente l’autenticità della foto.
Fu proprio grazie alla segnalazione di questo improvvisato detective che il museo decise di acquistare il documento di autenticazione e, in seguito, la lastra fotografica, adesso esposta come l’unica immagine esistente di Cavallo Pazzo.
Finalmente, nel novembre del 2003, Abiuso ha potuto volare a nel Montana e recarsi al Custer Battlefield Museum, 70 miglia a sud di Billings, per poter vedere con i suoi occhi la lastra metallica su cui è impressa la foto del suo mito.
Il museo si è mostrato molto riconoscente per il lavoro di Abiuso e ha più volte dichiarato che senza l’instancabile lavoro dell’adesso quarantasettenne italiano, il pezzo non sarebbe mai stato attribuito ed esposto con tanta sicurezza.
Ma cosa fa credere agli studiosi del museo che la foto sia autentica, dopo che molte altre foto sono state dichiarate false?
La resa di Cavallo Pazzo
Il direttore del museo Chris Kortlander, l’ha acquistata al prezzo di 6.500 dollari, dopo aver esaminato attentamente tutti gli indizi che l’hanno convinto pienamente dell’autenticità del pezzo. “Il museo non ha un budget abbastanza elevato da potersi permettere di spendere soldi in possibili falsi”, ha dichiarato lo stesso Kortlander.
Una delle prove chiave, secondo il direttore, risiede nella lista scritta su un documento, anch’esso recentemente acquistato dal museo, in cui sono catalogate tutte le immagini riprese dal famoso fotografo della frontiera James Hamilton. Nella lista delle lastre fotografiche sono indicate più di 200 foto. La numero 104 ha come didascalia “Crazy Horse”.
Per quanto riguarda la lastra fotografica, originariamente apparteneva alla famiglia di Baptiste (Little Bat) Garnier, uno scout dell’esercito di origini francese e sioux, noto per essere amico fidato di Crazy Horse.
Assieme alla foto, Abiuso ha scoperto l’esistenza di una dichiarazione di autenticità della foto firmata dalla figlia di Little Bat.
Il testo dice:
“Questo (documento) certifica che la lastra fotografica di Cavallo Pazzo appartenuta alla nostra famiglia fin dal momento in cui fu scattata, prima appartenne a mio padre Little Bat Garnier ed in seguito a mia madre fino ad arrivare a me attraverso l’eredità.
Molte volte mio padre raccontò alla nostra famiglia che quella era veramente una foto di Cavallo Pazzo.
Firmato MRS Howard”
Ma qual è la storia di questa immagine?
James Hamilton partì da Sioux City nella primavera del 1877, per fotografare la corsa all’oro sulle Black Hills. Dopo 46 giorni di viaggio giunse, in compagnia del figlio Charles a Rapid City e da lì cominciò a lavorare in un piccolo avamposto militare destinato a passare alla storia: Fort Robinson.
Nel maggio di quell’anno Cavallo Pazzo e la sua gente si arresero proprio in quel forte e furono sistemati in due agenzie nelle prossimità dell’avamposto.
Secondo il figlio del fotografo, Hamilton fotografò tutti i più importanti indiani di ogni tribù delle loro agenzie. Ma come avvenne quello scatto?
Sembra che Baptiste “Little Bat” Garnier avesse convinto l’amico Cavallo Pazzo a posare per la foto assicurandogli che avrebbe tenuta l’immagine segreta fino alla sua morte. Secondo Little Bat, infatti, Cavallo Pazzo non aveva superstizioni contro le fotografie, ma credeva che l’anonimato fosse necessario per difendersi dal grande numero di nemici bianchi e rossi.
Little Bat conservò la foto fino al 1900, quando fu anch’egli assassinato da un certo Jim Haguewood, a Crawford, Nebraska. La foto rimase proprietà della moglie Julie Mousseau, (cugina di Crazy Horse) per essere ereditata dalla figlia Elle Howard.
In seguito la lastra fu venduta da Mrs Howard ad uno storico, Fred Hackett assieme alla già citata lettera di autenticità e fu pubblicata per la prima volta nel 1956 nel libro "With Crook on the Rosebud" scritto assieme a J.W. Vaughn.
Ma la storia dell’immagine non finisce qui, tempo dopo infatti arrivò allo storico Carroll Friswold, autore dell’introduzione del libro “The Killing of Chief Crazy Horse”, edito nel 1976, che ne inserì una riproduzione nel testo.
Da lì si perdevano le tracce, ma il detective per passione Pietro Abiuso riuscì, attraverso, i registri automobilistici degli stati del West (!) a rintracciare il figlio di Friswold.
Abiuso non poteva permettersi di acquistare la lastra originale ma grazie alle sue indagini, il museo di Garryowen si convinse dell’autenticità del pezzo e lo acquistò assieme alla lettera di garanzia e alla lista degli scatti del fotografo, che dovrebbe rappresentare un'altra prova dell’autenticità del reperto.
Per anni gli studiosi si sono impegnati a fondo per trovare una foto che potesse essere comprovata come autentica immagine di Cavallo Pazzo. Tante foto ma nessuna certezza. Adesso, per il prossimo anniversario della Battaglia del Little Bighorn, sono pronte riproduzioni della foto che sarà presentata ufficialmente come il ritratto di Cavallo Pazzo.
Ma queste prove sono sufficienti?
Secondo molti Nativi, la foto non rappresenta chi dovrebbe.
Donovin Sprague, insegnante di storia presso l’Oglala Lakota College e l’Università delle Black Hills del South Dakota, sarebbe molto felice di vedere un’immagine del suo avo, “Mi piacerebbe vederne una, ne sarei onorato”. Ma la foto in questione, sostiene, appartiene ad un capo Lakota chiamato No Neck (Senza Collo) che nel maggio 1877 si arrese a Fort Robinson assieme a Cavallo Pazzo.
Sprague, discendente per via matrilineare di Crazy Horse, afferma che le prove portate da Abiuso e dagli studiosi del museo non indicano nulla, in quanto è noto che Cavallo Pazzo rifiutò sempre di farsi fotografare.
“Molte delle famiglie del nostre popolo non vollero essere ritratte perché credevano che queste riproduzioni potessero portare via loro l’anima.”
Anche un altro discendente di Cavallo Pazzo, Don Red Thunder, è della stessa opinione. Red Thunder afferma che è “una follia pensare che il suo avo avesse potuto accettare di posare per il nemico in un ritratto formale. Non credette mai negli uomini bianchi, e si teneva a distanza da ogni fotografo. Non esistono foto di Cavallo Pazzo”.
Steve Feraca, antropologo e rappresentante dell’Ufficio Affari Indiani scrisse dei suoi sforzi nella ricerche di notizie e di immagini di Cavallo Pazzo per la rivista Frontier Times. Dopo molti inutili tentativi, pensò che l’unico modo per sapere se esisteva realmente una foto di Cavallo Pazzo era intervistare una persona che avesse realmente conosciuto il leader Sioux.
Nel 1954, Feraca fu introdotto al novantenne John Y. Nelson presente tra l’altro sulla scena della morte di Tashunka Witko a Fort Robinson. Dopo diverse birre, l’uomo rispose all’interrogativo diretto di Feraca: non esistevano foto di Cavallo Pazzo. Ma vi fu un tentativo di scattarne una: la sera in cui il leader Lakota fu ucciso, il Dottor McGillicuddy, l’uomo che lo assistette nelle ultime ore, tentò di riprendere il capo ferito, ma questi ne rese impossibile la realizzazione, girando il volto contro il muro. Denis McLoughlin, autore di “Wild and Woolly: An Encyclopedia of the Old West,” del 1975 scrive che il capo negò lo scatto dicendo che “nessuno doveva portargli via l’ombra.”
Fu questa frase, secondo McLoughlin, a creare il mito secondo cui Cavallo Pazzo avrebbe rifiutato per tutta la vita di farsi immortalare dalla macchina fotografica.
“Crazy Horse stava morendo e come indiano, la sua ombra era qualcosa di tangibile e per questo non voleva che fosse fotografata nei suoi ultimi istanti di vita
La prima a negare l’esistenza di immagini del leader Sioux, fu la famosa scrittrice Mari Sandoz, autrice della prima biografia di Cavallo Pazzo nel 1942 “Lo strano uomo degli Oglala”, a cui pagano tributo tutte opere in seguito scritte sul personaggio. La Sandoz è categorica:
“(t)here never was a photograph taken or a likeness made from firsthand witness of Crazy Horse.”
D’altra parte le prove portate dal museo sono interessanti e gli studiosi si dichiarano pronti ad affrontare il polverone destinato a sollevarsi con l’esposizione ufficiale dell’immagine attribuita a Crazy Horse.
Oltre all’affermazione di autenticità della figlia di Little Bat e al documento del fotografo in cui lo scatto 104 veniva attribuito a Cavallo Pazzo, sono stati fatti molti confronti tra le descrizioni lasciate da coloro che lo conobbero e l’immagine impressa sul negativo metallico.
Le testimonianze di chi lo conobbe lo descrivono come alto circa un metro e settantatre, snello e muscoloso, volto scavato ed un naso affilato. Si dice che era solito portare una camicia di pelle di daino chiara e dei gambali blu scuro. I lunghi capelli erano legati in trecce da lacci di pelle di castoro, quasi dello stesso colore dei suoi capelli. Fu conosciuto come il guerriero dalla pelle chiara e in giovane età era chiamato Curly (ricciolo) a causa dei suoi capelli. Tutte caratteristiche, che, secondo gli esperti del museo corrispondono all’uomo ritratto nella famosa foto.
In particolare si sono studiate fondo le interviste rilasciate da Chips, l’uomo di medicina del leader Oglala.
Secondo Chips, la medicina di Crazy Horse includeva due piume maculate d’aquila. Mentre una era lasciata pendere libera nei suoi capelli descritti come light, chiari, l’altra era legata a un pezzo di cuoio che ricopriva una pietra al fondo della sua borsa della medicina appesa alla sua camicia.
Esattamente ciò che si vede nella fotografia, e teniamo a mente che in genere la borsa della medicina, che proteggeva il guerriero in guerra e caccia, era unica e diversa per ogni guerriero.
Un’altra prova a favore dell’autenticità della foto sarebbe in uno degli oggetti presenti nell’immagine. L’uomo della foto tiene una coperta nella mano sinistra avendo ben cura che sia ben visibile con il bordo steso fino al pavimento. Al tempo in cui Crazy Horse si arrese, l’oggetto di maggior valore che possedeva era propria una coperta rossa, una coperta da leader che l’uomo della foto, chiaramente teneva a esibire con cura nella foto. Secondo Mari Sandoz, Crazy Horse recava, piegata sul braccio la sua coperta anche il giorno in cui fu condotto verso la prigione davanti alla quale doveva essere colpito a morte dalla baionetta del soldato William Gentles.
McGillycuddy scrisse in una lettera che il corpo del ferito fu raccolto dal gigantesco guerriero Tocca le Nuvole e portato in braccio come un bimbo fino all’ufficio del medico stesso.
Lì, ricorda McGillycuddy, il dottore gli iniettò della morfina e lo coprì con la stessa coperta rossa.
Lo scetticismo riguardo le foto di Cavallo Pazzo, in genere, riguarda la cicatrice che questi aveva sul viso a causa di un colpo esplosogli a breve distanza da un marito geloso, e praticamente invisibile in ogni foto attribuita al guerriero.
In questo caso è la stessa Mari Sandoz in una lettera a Will G. Robinson (Segretario della South Dakota State Historical Society) il 19 ottobre 1947 a raccontare in risposta all’inchiesta aperta da quest’ultimo, che l’arma usata da No Water per sparare a Crazy Horse era di piccolo calibro, tale che poteva essere nascosta nel palmo di una mano. No Water l’aveva ottenuta in prestito da Bad Heart Bull all’insaputa del fatto che l’arma fosse caricata circa a metà per risparmiare la preziosa polvere da sparo. Era stata caricata per cacciare conigli e altri piccoli animali.
Questo significherebbe un danno relativamente leggero al volto dell’allora ventiseienne guerriero Orlala.
La pallottola entrò nella parte sinistra del viso sotto il naso, passò lungo la mascella superiore oltrepassando l’arcata dentale senza danneggiarla ed uscì in prossimità all’orecchio. Secondo gli studiosi, a dieci anni dallo sparo, la ferita si vede nella foto in un leggero segno lungo la guancia, ed in una zona più chiara che parte dalla narice e prosegue intorno al solco del sorriso. L’ingresso della pallottola è individuabile, secondo gli studiosi del museo, in una piccola infossatura nel centro di questa area.
Il Custer Battlefield Museum dichiara di aver fatto visionare la lastra da uno specialista di ossa facciali che secondo il direttore Kortlander, avrebbe confermato le tesi del museo.
D’altra parte è impossibile dalle immagini disponibili in rete riuscire a vedere questi particolari. Nell’articolo in cui viene presentata la scoperta e l’esposizione dell’oggetto presso il sito del Museo di Garryowen, viene spiegato che la lastra è stata sottoposta ad un’accurata lavorazione, inclusa la colorazione dell’immagine, ottenuta utilizzando le più recenti tecniche di lavorazione informatica e mesi di ricerche di medicina legale per presentare l’immagine reale (non dimentichiamo che stiamo parlando di una lastra metallica).
Il sito rimanda all’autore del complicato lavoro (Richard Jepperson di West Jordan, Utah, recentemente scomparso) e indica il sito dove il nipote di Jepperson presenta il lavoro.
Con nostro grande disappunto ed imbarazzo, nel sito non viene presentata l’immagine dopo la lavorazione, ma solo l’anteprima pubblicitaria del libretto-ritratto con la foto nelle due versioni.
Il tutto alla modica somma di 29 dollari, in vendita dal 25 giugno 2003, anniversario dell’inaugurazione del Memorial Indiano presso il campo di battaglia del Little Bighorn (potete verificare: http://www.stringofbeads.com/)
Sorvoliamo sulle considerazioni su questo tipo di iniziative (per il prossimo anniversario della battaglia, saranno pronti poster e cartoline dell’immagine) e torniamo ad occuparci della foto.
James (Putt) Thompson, responsabile capo del Custer Battlefield Museum di Garryowen, ricorda che non tutti gli Oglala rifiutarono di riconoscere l’immagine di Cavallo Pazzo nella lastra posseduta dal Museo. Incontrò infatti l’artista Ed Two Bulls e la moglie Lovey, discendendenti del grande guerriero. Prima di mostrare loro la foto, conversando con i due, chiese loro che cosa pensassero alla tradizione secondo cui Crazy Horse avrebbe avuto paura di essere fotografato.
“Non aveva paura delle macchine fotografiche. Non aveva paura di niente”, risposero.
Poi, quando mostrò loro la foto, Thompson rimase impietrito dalla reazione dei due: “È lui, è lui”, dissero all’unisono.
“Per la prima volta sentii i capelli che mi si rizzavano sulla nuca.” racconta Thompson.”
Al di là di questo aneddoto, le argomentazioni fin qui presentate sembrano convincenti, ad una prima occhiata, ma inevitabilmente saranno destinate a subire l’opposizione di altri studiosi e, soprattutto, dalla gente di Cavallo Pazzo: “Stiamo proteggendo il suo nome. Questo è il modo in cui la nostra famiglia è stata cresciuta.”, ha dichiarato Red Thunder.
Anche John Doerner, il responsabile del Parco Nazionale del Little Bighorn è a sua volta convinto che l’uomo della foto non sia Crazy Horse. L’opinione dello storico si basa, a suo dire, sull’osservazione di molte foto autenticate del capo noto come No Neck, cui, secondo Doerner, appartiene l’immagine.
Doerner afferma che proprio l’ostinata resistenza dei discendenti all’autenticazione della fotografia è la migliore prova dell’inattendibilità del documento conservato al Museo di Garryowen. “Condividono il suo stesso sangue e conoscono storie che probabilmente non saranno mai diffuse all’infuori della famiglia, inclusa l’esatta locazione della tomba del loro avo. La loro opinione dovrebbe essere rispettata.”
A questo punto ognuno è libero di farsi una propria opinione sull’argomento. A noi non resta che fare qualche considerazione generale su quello che avete appena finito di leggere.
La foto di cui abbiamo finito di parlare è nota pubblicamente dal 1954. Si tratta di una delle tante immagini accreditate ad un personaggio circondato da un alone di mistero che ha alimentato il fuoco della fantasia popolare ed, inevitabilmente, l’interesse degli studiosi.
Rispetto alle altre foto, questa volta sono state presentate delle prove e degli studi compiuti sulla lastra originale dell’immagine, un evento che ha portato un museo a presentare il reperto come l’unico esistente esponendosi a tutti i rischi del caso.
Inutile dire che l’operazione presenterà anche dei vantaggi non indifferenti, per l’immagine del museo e per il prestigio degli studiosi. Anche l’investimento commerciale dell’operazione è stato avviato, come abbiamo visto, e sicuramente porterà dei proventi economici.
Nonostante ciò, la scoperta dell’icona di uno dei più leggendari protagonisti della storia americana, non ha suscitato l’eco mondiale che avrebbe dovuto suscitare.
Se da una parte il gli studiosi di Garryowen sembrano avere una risposta per tutte le obiezioni mosse all’iniziativa, dall’altra parte, molti membri della comunità storica americana e soprattutto di quella del popolo Lakota, ha negato con convinzione l’autenticità dell’opera.
La sensazione è che alcune delle prove a sostegno delle tesi del museo di Garryowen siano quantomeno accettabili, mentre la ragione dello scetticismo dei discendenti del leader Lakota, è sempre la stessa: “Cavallo Pazzo non volle mai farsi fotografare nella sua vita e non esistono sue immagini.”
Esiste un forte legame tra Crazy Horse ed i suoi discendenti, un legame profondamente spirituale, che va molto al di là dei significati storici o della semplice curiosità degli occidentali. Per tutti questi anni, i discendenti ne hanno difeso strenuamente la memoria cercando di impedire che anche il suo ricordo finisse nelle mani dei wasichu, così come lo era stata la sua vita.
Un gruppo di guerrieri Oglala
Ad oggi esistono 169 diversi prodotti che utilizzano il nome Crazy Horse. A questo scopo i diretti discendenti dell’eroe del popolo Lakota stanno formando un ente per tutelarne il nome: il Tasunke Witko Tiwahe Inc. (dove Tiwahe sta per famiglia) Grazie questa iniziativa, in futuro, coloro che utilizzeranno il nome per attività commerciali, dovranno pagare i diritti ai suoi discendenti e alla sua tribù.
Tutto questo, ovviamente, ci fa capire come nessuna prova fornita da qualunque studioso, verrà mai accreditata dalla gente del leader Oglala, anche in caso questa risultasse vera.
Ma al momento di chiudere, dobbiamo rispondere al quesito proposto: l’immagine è vera?
L’impressione, in base alla prove presentate, è che potrebbe esserlo, ma ovviamente il dibattito è appena stato acceso e molto sarà scritto da coloro che sosterranno la tesi opposta. Tutto materiale da leggere con attenzione.
La sensazione alla fine di questo viaggio nella storia e questa carrellata di ricordi, dichiarazioni e polemiche, è che la cosa non sia molto importante.
L’uomo di cui stiamo parlando giocò un ruolo fondamentale nel periodo storico della storia della frontiera, ma nonostante ciò, la sua figura mantenne sempre una visibilità marginale che ha contribuito non poco a creare l’alone mistero che oggi affascina tanto gli occidentali.
Cavallo Pazzo non fu mai un capo, non firmò trattati, non fece viaggi a Washington per incontrare il Grande Padre Bianco, e morì in giovane età dopo una vita trascorsa a combattere per la sua gente.
La sua figura non è stata tramandata da film kolossal televisivi o cinematografici, ed il suo nome è stato usato principalmente come simbolo di qualcosa di sfrenato ed incontrollabile, valido per simboleggiare atteggiamenti sopra le righe, locali di spogliarello o bevande alcoliche. Quasi il suo nome rappresentasse il proverbio occidentale “matto come un cavallo”.
Quello che sappiamo su di lui ci è arrivato dalla flebile voce del suo popolo, raccolta in libri spesso poco noti o studiata nei ristretti ambienti accademici.
L’immagine che la sua gente ci ha tramandato è stata quella di un uomo coraggioso, semplice e umile e capace di sacrificare tutta la vita per il bene del suo popolo, proprio mentre il mondo stava crollando in testa alle tribù delle praterie.
Quest’immagine si è diffusa lentamente con gli anni (ed il fatto che si sia diffusa attraverso la pagina scritta di libri, spesso rari da trovare, la dice lunga anche su coloro che se ne sono interessati) finendo per creare molta curiosità intorno alla sua figura, ma anche molto rispetto. Non sappiamo quanto di quello che ci è arrivato sia storia o quanto solo leggenda, ma non ha importanza. Per i discendenti di coloro che si batterono contro l’invasione bianca, Cavallo Pazzo rimane il simbolo dei migliori valori del proprio popolo, testimonianza di una cultura che sta lottando per non sparire e che necessita proprio di quei valori per continuare a sopravvivere.
Il materiale da cui è stato tratto questo articolo proviene dalla rivista Billing's Gazette del 16 novembre 2003, che ha ricostruito l’indagine di Mr. Abiuso. Il pezzo è riportato integralmente sul sito del Parco Nazionale del Little Bighorn .
Altro informazioni provengono dal sito internet del Custer Battlefield Museum di Garryowen, Montana che possiede la lastra della foto di cui abbiamo parlato e che è mostrata in questo pezzo.
Tutte le dichiarazioni rilasciate dai discendenti di Cavallo Pazzo sono tratte dalle stesse fonti.
Baptiste Garnier Baptiste "Little Bat" Garnier. Secondo le sue dichiarazioni ebbe in custodia la lastra della foto dallo stesso Cavallo Pazzo, di cui era sincero amico. Aveva il compito di tenerla nascosta fino alla morte del leader Oglala. In realtà la tenne nascosta per il resto dei suoi giorni. Secondo molti discendenti di Crazy Horse, il personaggio ritratto nella la foto del museo di Garryowen sarebbe in realtà No Neck. |
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Il confronto |
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Mister Abiuso Abiuso è l’italiano che per ben 23 anni ha indagato sulla storia di Cavallo Pazzo e Mr Thompson, responsabile del museo che possiede la presunta fotografia di Cavallo Pazzo. |
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La colorazione Un’anteprima dell’immagine ottenuta dopo il lungo e paziente lavoro di colorazione informatica. Questo procedimento è stato particolarmente attento alle descrizioni del tempo e a quanto altro si sa del grande guerriero Lakota. Si noti la coperta rossa, simbolo di prestigio tra i Sioux. |
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La famosa fotografia È lui? La presunta foto di Cavallo Pazzo (foto n° 5) ricavata dalla lastra fotografica acquistata all’asta dal museo di Garryowen. Inutile dire che l’esposizione dell’immagine nel museo che porta il nome di Custer e la messa in vendita delle riproduzioni colorate, ha causato non poco disappunto tra i discendenti della sua gente. |